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giovedì 25 settembre 2008

E' davvero credit crunch?



Che impatto ha la crisi internazionale sulla nostra economia reale e sul credito alle imprese? Il tema è caldo. Vi segnalo due articoli del Sole 24 ore: ieri Guido Gentili ha disegnato lo scenario critico in cui ci si ritrova, mentre oggi Marco Alfieri riceve conferma da diversi imprenditori della situazione di razionamento, con enfasi differenziata sui fattori congiunturali e strutturali, i secondi legati al cambiamento di paradigma (come si dice) nella valutazione del merito di credito legato (c'è da chiederlo?) a Basilea 2.

Luca

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8 commenti:

sapio ha detto...

Nessun sistema di rating è basato sul business plan dell'azienda in esame. Tutti i sistemi di rating guardano al passato perchè le banche commerciali non sanno proprio guardare al futuro. Lo facevano gli istituti di credito speciale ma li hanno miopiamente uccisi tutti.
Ciò detto si dice che il nostro è un paese di imprenditori ricchi ed imprese povere. La cura al credit crunch è semplice e dolorosa: per migliorare il rating occorre che gli imprenditori attingano ai ben custoditi patrimoni personali e li trasferiscano in azienda ed il rating migliorerà con la conseguenza di affidamenti più cospicui ed a minor costo. Il resto conta poco.

Yeaxx ha detto...

Nessun sistema di rating è basato sul business plan perché la stragrande maggioranza delle imprese non sa nemmeno cosa sia, e la significatività statistica di un sistema di rating obbliga ad avere numero elevati.
Alcune banche utilizzano dati previsionali per quanto riguarda il settore economico di appartenenza dell'impresa, ma rimane il dubbio della prociclicità.
Molti sostengono che il problema delle imprese è la sottocapitalizzazione, ma ciò è spesso largamente sopravvalutato: il vero problema è la mancanza di cultura gestionale degli imprenditori es. la totale assenza di controllo di gestione, la commistione tra esigenze finanziarie della famiglia e dell'impresa (a scapito di quest'ultima), la mancanza di competenze finanziarie anche banali. Mi fermo, ma la lista sarebbe lunga.

sapio ha detto...

Non sano basati sui business plan nemmeno i rating delle grandi imprese che i business plan li fanno. Le banche commerciali non sanno guardare al futuro perchè non hanno personale preparato a capire e/o verificare quanto esibito!

Yeaxx ha detto...

Ripeto, c'è un problema di significatività statistica. In Italia solo i grandi gruppi bancari potrebbero farlo. Peraltro, quanto è significativo un piano industriale dal punto di vista del merito creditizio? Oltretutto, se devi fare un lavoro improbo per un notch, mi chiedo se ne vale la pena.

Luca ha detto...

La logica del rating privilegia informazioni oggettive analizzate con indicatori statisticamente riscontrabili. Serve appunto per classificare il merito di credito, per la capital allocation, per fissare un livello di prezzo equo minimo aggiustato per il rischio. Ci sono tanti altri profili di valutazione e di relazione che potrebbero giustificare lo sforzo, della banca e dell'impresa, di un piano finanziario ben fatto: analisi dei fabbisogni futuri, fidelizzazione, vendita di servizi di corporate finance, ecc. Ci sono poi i casi ben noti (nuove imprese, finanza di progetto) nei quali il piano finanziario è l'unico supporto quantitativo, mancando la storia delle performance contabili.
Può darsi che non ne valga la pena.

Yeaxx ha detto...

La definizione di un piano industriale è senza ombra di dubbio strumento di miglioramento aziendale, quanto meno nel dare all'imprenditore maggiore consapevolezza della sua situazione attuale e prospettica. Mi sembra ovvio che le banche non possano che essere più che felici che l'impresa voglia dotarsene, anche se fosse soltanto relativo agli aspetti finanziari.
Il punto è che si tratta di previsioni spesso basati su assunzioni più che discutibili, non sottoposte a stress test o almeno a valutazione/validazione di terzi.
In pratica, sono soltanto i buoni propositi per il triennio venturo, e credo che includerli nei sistemi di rating potrebbe dare adito a distorsioni valutative, con conseguenti bruschi riallineamenti e tutto ciò che ne deriva.
Per quanto riguarda i finanziamenti specializzati, invece, che sono trattati come caso particolare nell'ambito della normativa di Basilea2, a differenza di quanto sopra ricordo che il piano finanziario è asseverato.
Una ultima annotazione sul prezzo corretto per il rischio: se parliamo di piccole imprese, molto spesso nei sistemi di rating è lo score della componente andamentale a prevalere nella determinazione del punteggio complessivo, non quello del bilancio.
Giusto per chiarire la mia posizione: secondo me è indispensabile che le imprese definiscano un processo di autovalutazione e di critica costruttiva. Questo potrà portare ad un piano industriale o anche no, ma certamente darà all'imprenditore consapevolezza dei suoi punti di debolezza. Il rating è uno strumento che misura gli effetti, non le cause: tanto per fare un esempio, l'eventuale sottopatrimonializzazione di una pmi può derivare da un drenaggio di patrimonio per esigenze familiari non pianificate (siamo buoni e non diciamo per comprarsi la barca), non da un deterioramento finanziario strutturale dell'impresa. Alla banca interessa misurare il fatto che c'è poco patrimonio (tanto la barca sarà sicuramente non aggredibile :-D ), all'imprenditore dovrebbe interessare avere una prospettiva delle conseguenze per l'impresa del suo prelevamento PRIMA di farlo.

sapio ha detto...

Che significa che il piano finanziario nel credito speciale è asseverato? Da chi ?
Ricordo solo da dove siamo partiti. Un prenditore, in una intervista, si lamentava che le banche non valutano i progetti (lamentela vecchia). Ora le banche non valutano perchè non sanno valutare. Punto. I sistemi di rating non sono rivolti al futuro perchè non possono esserlo.Punto, non prendetevela con Basilea per il credit crunch, perchè Basilea non c'entra con il futuro in quanto non lo sa guardare. Però gli accantonamenti vanno fatti sul rating basato sul passato. Anche le start-up vengono valutate con riferimento alle performance passate delle altre start-up anche se sarebbe giusto qualche aggiustamento judgemental. Ma quale giudizio se giudizio (esperienza, capacità di analisi) se giudizio non c'è?

Yeaxx ha detto...

E' asseverato da una istituzione finanziaria.
Non è corretto dire che le banche non sanno valutare. Le FILIALI delle banche non sanno valutare, infatti non a caso tutte le operazioni di finanza straodinaria e strutturata sono gestite da team di specialisti. Le filiali sono punti di gestione della relazione, e ricordo che per una banca commerciale l'unico aspetto importante è il merito creditizio, ovvero la capacità di rimborso del credito. Se invece parliamo di investment banking o di haus banking è un pò difficile ipotizzare che le banche non siano in grado di valutare un progetto :-)
Non è corretto generalizzare dicendo che i sistemi di rating non sono rivolti al futuro, perché ci sono banche che nell'ambito della valutazione settoriale utilizzano dati previsionali (da cui ad esempio i noti dubbi sulla prociclicità).
La valutazione delle startup non è basata sulle performance delle altre startup (il che avrebbe poco senso), casomai sulla storia dell'imprenditore e sulla bontà del progetto: non avendo rating, l'iter di valutazione è completamente diverso. Ma davvero pensi che nelle banche gli organi deliberanti centrali non siano capaci di leggere un bilancio previsionale o che non ci siano analisti in grado di farlo?