aleablog

lunedì 4 gennaio 2010

Troppi crediti fiscali per accantonamenti non deducibili: rischio falcidia per il patrimonio delle banche italiane?



Mi segnalano un articolo di Quaglio sul Sole 24 In «Basilea 3» la mina dei crediti fiscali, da cui cito
«Con riferimento alle deduzioni prudenziali dal patrimonio di vigilanza, verrà valutata la possibilità di dedurre le attività per imposte anticipate solo per l'importo che eccede una certa proporzione del capitale di migliore qualità, in modo da evitare che diversità nei trattamenti fiscali nazionali creino eccessive disparità di trattamento (ad esempio il trattamento fiscale nazionale per gli accantonamenti a fronte del rischio di credito)». Il linguaggio è quello ultra-tecnico della Vigilanza, ma quello sui tax assets nei bilanci delle banche italiane resta il warning più diretto che la Banca d'Italia ha rivolto al sistema creditizio nazionale (e al Governo) nel suo commento a caldo sull'ormai cosiddetta «Basilea 3». Un avvertimento che si è inserito nella dialettica sempre accesa tra Tesoro, Bankitalia, Abi e imprese, sotto l'occhio di Piazza Affari. E che ha registrato un'eco immediata nell'intervista [di cui in. post] rilasciata al Sole 24 ore dal direttore generale dell'Abi, Giovanni Sabatini (vedi edizione del 27 dicembre).
[...] Nel concreto contabile delle banche italiane, entrano in gioco gli ingenti crediti fiscali accumulati negli anni per il trattamento nazionale delle perdite su impieghi. Queste – a normativa corrente – sono deducibili nel conto economico annuale solo entro il tetto dello 0,30% del portafoglio crediti. Il resto viene capitalizzato e ripartito nell'arco di 18 anni. È così che, ad esempio, UniCredit denunciava al 30 settembre scorso attivi fiscali per 12,3 miliardi su un totale di bilancio di 957 miliardi e con 59,3 miliardi di patrimonio consolidato. E Intesa Sanpaolo, alla stessa data, segnalava tax assets per 6,9 miliardi su 631 di totale per circa 52 miliardi di patrimonio. Per le due big - come per l'intero sistema italiano - le perdite su crediti sono attese ancora in aumento nei conti 2009 (l'ultima stima aggregata Abi parla di una ventina di miliardi) e non è affatto detto la tendenza s'inverta rapidamente nel 2010.
I difficili equilibri della finanza pubblica, specie in tempi di coperta troppo corta, non consentono di smontare in fretta i meccanismi di accumulo di debiti diversi: quelli verso i fornitori, quelli per rimborsi IVA, e anche quelli di cui parla l'articolo. Qui però la materia è ancora più delicata, perché si toccano gli equilibri della gestione dei rischi bancari: il prezzo di quelli sani e il costo di quelli a sofferenza, nonché la rappresentazione della relativa entità e copertura nei bilanci e nei confronti della Vigilanza.
La soluzione non è semplice. Forse ci sarebbe un uovo di Colombo: accelerare i tempi del contenzioso e arrivare prima a quantificare le perdite certe, quindi deducibili. Questo apre il dossier procedure di soluzione delle crisi, altro caso di ritardi patologici. Ma sarebbe utile fare qualcosa, non solo per sgonfiare la bolla delle deduzioni differite, ma anche per dare più agilità al sistema produttivo che si riorganizza per uscire dalla crisi.

Luca

Stampa questo post

5 commenti:

Sapio ha detto...

a....ccelerare i tempi del contenzioso e arrivare prima a quantificare le perdite certe, quindi deducibili.
Ecco il punto: qual'è il costo che le imprese italine subiscono, anche attraverso il tasso passivo subito, per l'inefficienza del sistema giudziario ?

Nicola e Gabriele ha detto...

Il sistema giudiziario italiano è sicuramente inefficiente. Negli ultimi anni si è fatto qualcosa per tentare di risolvere il problema (es. delega delle vendite giudiziarie) ma con scarsi risultati. A dire la verità, però, dall'inizio del 2000 si è anche assistito ad un ulteriore aumento della durata delle procedure di recupero credito per le banche dovuto anche alle varie opposizioni dei debitori per la disapplicazione dell'anatocismo bancario (anche questo crea incertezza del credito-perdite).
Comunque, sul fronte della durata del recupero credito c'è ben poco da fare. A ciò si aggiunga che il patrimonio aziendale spesso è inesistente ovvero di poco valore (beni mobili); le procedure esecutive immobiliari, poi, per i costi che le caratterizzano sono percorribili solo da banche o da pochi altri.
Pur condividendo le affermazioni di Sapio, ci si potrebbe porre un'altra domanda: qual'è il costo che le imprese italiane subiscono, anche attraverso il tasso passivo subito, per l'inefficienza dell'imprenditore?
L'esperienza ci ha insegnato che spesso chi fa impresa (ci si riferisce alla piccola e piccolissima) si preoccupa poco di verificare preventivamente la patrimonializzazione, la solvibilità ecc. del cliente-debitore; ci si preoccupa molto di fare fatturato e poco a garantirsi l'incasso. La prassi, poi, è stata quella di farselo anticipare con l'autoliquidante (così le banche hanno finito per finanziare non il proprio cliente ma quelli di quest'ultimo).
In uno degli ultimi post si è visto quante poche sono le aziende italiane ad avere un'analisi gestionale (ed anche una revisione legale). Figuriamoci quando si dovrebbe analizzare preventivamente quella di un futuro cliente: pochissime.
Per il futuro, allora, la parola d'ordine dovrebbe essere, oggi più che mai (data la fragilità economica-patrimoniale di molte imprese) la prevenzione. Considerare il recupero credito come l'ultima spiaggia e pensare che se si è arrivati a ciò spesso in qualcosa si è sbagliato.
Per essere concreti, sul fronte delle imprese, si potrebbero, allora, iniziare a rendere disponibili dati economici-patrimoniali dell'impresa; iniziare a pensare che anche le ditte individuali e quelle di persone possano dotarsi di un bilancio vero da rendere disponibile a chi voglia entrare in contatto con loro. In un contesto così il Business Office potrebbe essere un energico strumento; da un lato curare una valida consulenza interna all'azienda e, dall'altro rendere disponibili, verso l'esterno, idonei strumenti di valutazione riconosciuti come validi sia dal sistema imprenditoriale che da quello bancario.

Sapio ha detto...

Nic&Gabri, scusate, ma in tutto il mondo stanno messi come noi? Con le stesse inefficienze nel sistema giudiziario?

Nic&Gabri ha detto...

Sapio grazie per il nick name che ci hai dato ci piace e lo useremo per il futuro.
Più o meno le procedure esecutive in europa sono simili ma hanno durata più breve.
In Italia quello che non funzione è il pianeta giustizia. Troppe cause, tribunali lentissimi perché ingolfati da anni, carenza di personale e troppa giurisprudenza difforme sullo stesso argomento; insomma un sistema pletorico risalente alla dominazione borbonica.
Un problema di difficile soluzione che però genera grossi danni. Tra l'altro, come tutti sappiamo, scoraggia anche gli investitori esteri dal venire in Italia.
Per le aziende oggi è molto meglio prevenire che curare (con esiti altamente infausti).
I confidi allora, per la loro posizione, potrebbero porsi (riqualificandosi) quali interlocutori privilegiati tra il (e nel) mondo imprenditoriale stesso e sistema bancario, innescando un meccanismo virtuoso benefico per tutti.

Dodona ha detto...

Sono molto d'accordo nella necessità di prevenire il contenzioso. In questo ambito i confidi avrebbero un ruolo davvero importante e ancora poco frequentato. Il business office potrebbe includere, nella propria area semantica, anche questa accezione...