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sabato 29 maggio 2010

Meno rischi penali su concordati e accordi di ristrutturazione



La riforma del diritto fallimentare ha inteso facilitare le soluzioni non liquidatorie delle crisi aziendali (concordati preventivi, accordi di ristrutturazione dei debiti, piani di risanamento attestati), e lo ha fatto allargando i requisiti di attivazione e attenuando il rischio di revocatoria per gli atti compiuti nella realizzazione di quegli interventi. Non si era però adeguato l'impianto del diritto penale fallimentare, che continuava ad esporre gli attori coinvolti a contestazioni di bancarotta fraudolenta o bancarotta semplice. Lo evidenziava questo rapporto di Bianco e Marcucci. Per facilitare il ricorso a queste procedure, il Consiglio dei ministri ha approvato un DL che mette al riparo gli atti compiuti in esecuzione di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti se questi sono stati omologati dall'autorità giudiziaria. Lo riferisce il Sole 24 ore di giovedì 27/5.

Luca
PS 7/6 Come osserva Jaures nei commenti, il nuovo art. 217 bis che introduceva l'esenzione dal reato di bancarotta (preferenziale) per i soggetti che finanziavano l'impresa in crisi (normalmente dietro garanzia) è stato espunto dal decreto legge.

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5 commenti:

jaures ha detto...

@luca: come hai visto il nuovo art. 217 bis che introduceva l'esenzione dal reato di bancarotta (preferenziale) per i soggetti che finanziavano l'impresa in crisi (normalmente dietro garanzia) è stato espunto dal decreto legge (probabilmente perchè in materia penale lo strumento del decreto legge è inadatto).
Sono rimasti le modifiche all'art. 182 bis in tema di protezione da azioni esecutive e cautelari da parte dei creditori sul patrimonio del debitore in crisi anche DURANTE la trattativa che conduce alla stipula dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, prima della sua PUBBLICAZIONE nel Registro Imprese, antecedente quest'ultima alla sua OMOLOGAZIONE.
Questa novità e' senz'altro positiva e raccoglie quelle sollecitazioni della dottrina che motivavano lo scarso successo del nuovo strumento anche a causa di una protezione da aggressioni dei creditori, troppo tenue, anzi inesistente, proprio nei momenti in cui l'accordo doveva essere raggiunto, nell'ambito dell'impresa in crisi.
Inoltre è stato introdotto l'art. 182 quater, in tema di prededucibilità dei finanziamenti in preparazione ed esecuzione di tali accordi di ristrutturazione. Idem per il concordato preventivo. Era in sostanza il problema della finanza - ponte.
Ad ogni modo, per chiudere il cerchio è necessario introdurre la tutela dal reato di bancarotta. Cosi' facendo probabilmente si taglia la testa al toro anche all'altro problema della responsabilità della banca per "concessione abusiva di credito". Tutti limiti dell'attuale normativa che mettono piombo sulle ali dei nuovi strumenti di risoluzione della crisi di impresa.
Tuttavia, penso, a fronte di nuove e giuste guarentigie, occorre rendere più penetrante il potere di indagine del Tribunale.
Non è possibile, ad esempio, omologare concordati preventivi con risibili percentuali di soddisfacimento dei creditori chirografi.

Luca ha detto...

Grazie, Jaures, per questo puntuale aggiornamento e per i commenti.

jaures ha detto...

@Luca: figurati, questo tuo blog è proprio uno spazio libero e stimolante. Ad ogni modo la nuova legge fallimentare (melius: legge sulla crisi di impresa) può costituire un terreno nuovo per tante situazioni aziendali, fuori dagli angusti canoni del fallimento tradizionale.
Piani di risanamento attestati, accordi di ristrutturazione dei debiti e concordati preventivi riformati costituiscono opportunità anche in chiave businness office.
Punti deboli, a mio modesto avviso:
1) manca ancora un modo ordinato e "concorsuale" di affrontare la crisi delle microimprese (sottosoglia di fallibilità);
2) i concordati preventivi di risanamento sono pochissimi rispetto ai concordati preventivi di liquidazione
3) i piani di risanamento attestati avrebbero maggiore senso se l'azione revocatoria che "elidono" fosse ancora quella rigorosa della vecchia legge. Oggi è molto depotenziata, in più, in assenza di qualsiasi sindacato del tribunale, può dar luogo a comportamenti in odore di frode di alcuni creditori a danno di altri (tema garanzie...)
4) gli accordi di ristrutturazione hanno ancora pochi vantaggi rispetto all'onere pubblicitario (ossia si "mette in piazza" che l'azienda è in crisi). La riforma ultimissima del decreto legge tende proprio in questa direzione, a renderli più attraenti. Inoltre, anche qui, occorre capire se prevale la finalità risanatoria e non quella liquidatoria.

Luca ha detto...

@Jaures: sono perfettamente d'accordo; sotto la soglia di fallibilità siamo in balia delle procedure esecutive individuali, dove può "vincere" chi preme per primo il grilletto del decreto ingiuntivo e/o dell'ipoteca giudiziale. Ci sono dei contenziosi magari di importo esiguo che non si possono risolvere con accordi stragiudiziali perché il creditore in posizione forte ha interesse ad andare fino in fondo.
La materia è delicata, ma proprio per questo sarebbe utilissimo che una rete di soggetti qualificati (business office con competenze legali) pilotasse la soluzione delle crisi prima che arrivino gli ufficiali giudiziari, garantendo la buona fede dei debitori (perché l'altro problema è tenere a bada chi è insolvente per scelta e per calcolo opportunistico).

jaures ha detto...

infatti Luca, il corretto ma difficile bilanciamento sta proprio nel contemperare le esigenze di recupero di un'unità produttiva (si sa cosa si cancella e non è dato sapere se e con che cosa questa impresa verrà sostituita)con quelle di salvaguardare la correttezza e la moralità (che termine arcaico!) commerciale.
Ci ho pensato un po' sopra e mi sono fatto la seguente opinione:
- giusto proseguire con l'alleggerimento del carattere "afflittivo" delle procedure concorsuali e con la possibilità di una seconda opportunità per l'imprenditore insolvente. Bene anche una mano più leggera sulla bancarotta, per lo meno per quelle fattispecie che in assenza di fallimento non costituirebbero fatto rappresentante un reato;
- mano più leggera se però l'imprenditore rischia. Mi spiego: oggi anche la più invisibile e minore delle aziende vuole costituirsi in srl, con i mitici 10 mila euro di capitale sociale, talvolta neppure interamente versati. Bene, incentiviamo, per queste realtà il ricorso alle care, vecchie, ben più logiche e congrue società di persone (snc, sas) in base al principio della responsabilità illimitata e solidale. A questi coraggiosi imprenditori, specialmente verso i fornitori (le banche si prendono fideiussioni o altro..) si dia un premio in termini di minor aggravio in caso di crisi/insolvenza.
Certo il tema e' complesso ma un bilanciamento va trovato.
Basta con le srl che saltano per aria, un bel concordato liquidatorio con affitto e cessione di ramo di azienda (la parte sana) a società "amica" e ai fornitori rimane il 10% delle loro spettanze.
Infine, la platea delle microimprese non fallibili è veramente elevata. Sono sfornite di qualsiasi tutela (sia per loro che per la massa dei creditori) ordinata in caso di crisi e sfornite pure dei benefici (esdebitazione, ad esempio) previsti dal fallimento riformato (comprese le forme di composizione preventiva di cui stiamo parlando).
Infatti, scrive Giuseppe Vettori: "... in base a recenti studi solo il 50% delle imprese (con punte dell'80% al sud) rientrano nei nuovi parametri di fallibilità". (Giuseppe Vettori, Il contratto sulla crisi di impresa, in Autonomia negoziale e crisi di impresa, a cura di Fabrizio Di Marzio e Francesco Macario, pag. 239, Giuffrè, 2010).