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domenica 24 luglio 2011

Il mito delle liberalizzazioni

In questo articolo del Sole 24 ore, Carmine Fotina lamenta il poco spazio riservato nel Decreto sviluppo al tema delle liberalizzazioni e della semplificazione amministrativa.
Ribadisce la necessità di fare questa manovra a costo zero per liberare una crescita potenziale di PIL di vari punti percentuali, portando a conforto dovizia di dati di fonte OCSE, Confindustria, Confartigianato, ecc.
Non entro sul tema della liberalizzazione delle professioni o del commercio, ma conoscendo la situazione precaria di molte attività professionali non mi aspetto benefici diffusi e immediati da una rimozione nuda e cruda delle barriere e dei percorsi di ingresso.
Nelle professioni la liberalizzazione funziona se va di pari passo con la semplificazione degli adempimenti normativi che oggi costringe privati e imprese a comprare servizi da professionisti abilitati, in modo che si possa attivare un vero mercato basato sulla qualità delle competenze di problem solving, preludio a una riorganizzazione degli studi in forme imprenditoriali, capaci di formare i giovani e tutelare il buon nome della professione.
C'è bisogno di riorganizzare tutta la filiera delle attività di progettazione, amministrazione, controllo, cambiando i processi, realizzando in modo efficiente le interfacce tra utenti finali, professionisti, uffici pubblici. Si deve agire in maniera concorde. Bisogna partire dall'esigenza di lavorare meglio, insieme, con una cura del dettaglio, radiografando il singolo modulo, lo specifico elenco di allegati, i tracciati digitali dei documenti. Stampa questo post

7 commenti:

Gigi ha detto...

C'è una liberalizzazione di cui nessuno parla mai, perché è già stata fatta, in sordina, ma non aumenta il PIL. E' quella della droga. Lo stato non è riuscito a controllare l'evolversi del mercato e ha lasciato ai privati imprenditori (anche se illegali: mafia, camorra, 'ndrangheta) la possibilità di distribuire in maniera più capillare e a prezzi onesti (molto più onesti di un tempo) sostanze di tutti i tipi e di tutti i gusti. Il giro d'affari è molto alto ma non viene registrato dalle statistiche. In questo caso io sarei più statalista. Medicalizzerei l'utilizzo di queste sostanze sotto stretto controllo da parte della pubblica autorità fornendole gratuitamente (proprio per sgonfiare i profitti e togliere ai criminali l'incentivo imprenditoriale). Ma forse per uno stato abituato a stimolare le dipendenze (cfr. post sulle ludopatie di qualche giorno fa) questo è contro i suoi principi.

Anonimo ha detto...

Gigi: parli di un fenomeno che non è solo italiano, a parte i paesi come l'Olanda dove una parte di questo "mercato" è legalizzata e fiorente. Non so se gli Stati (il nostro, gli altri) vogliano deliberatamente stimolare le dipendenze dalle sostanze, dalle scommesse, ma aggiungiamoci pure gli svaghi a sfondo sessuale, i rave party, i videogame iperviolenti, i social network, le soap opera, le app per iPhone e iPad che non servono a nulla.
E' un fenomeno globale, un'antropologia delle nostre società ricche e iper-tecnologiche.
Ci stiamo bevendo il cervello con mille forme di evasione dalla realtà, è un fenomeno collettivo. Su questa dissipazione generale ci fanno i soldi in molti, legalmente e illegalmente.
Non penso che una soluzione olandese risolva. Bisogna affermare il primato dell'educazione, che la persona è una, la vita è piena e bella in quanto tale, non perché la riempiamo di passatempi eccitanti a gettone.
E' un lavoro lungo, che dipende dalla responsabilità personale. Lo Stato si preoccupi di far funzionare l'Istruzione, e di reprimere le forme più abiette e socialmente pericolose di questo commercio.

Gigi ha detto...

Ognuno è in grado di decidere per se stesso. Lo dice Smith nella "Teoria dei Sentimenti Morali" che non c'è persona che possa perseguire meglio il bene che se stessi. Vero, verissimo, è un principio di libertà, ma a questo va associata una educazione (ora assente) che dia gli strumenti per conoscere il bene (è proprio lo scopo della TSM). Altrimenti si resta tutti bambini e ci guadagnano solo i venditori di giocattoli. Attenzione parlo di educazione non di istruzione. Non solo saperi tecnici, ma principi, valori, rispetto. A rischio di sembrare bacchettoni, se diamo solo conoscenze tecniche e niente principi avremo sempre e solo dei bambini cresciuti in una società che assomiglia sempre di più al paese dei balocchi di collodiana memoria.

Anonimo ha detto...

Ancora più giusto: è l'educazione (distinta dall'istruzione) il cuore del problema. Ma chi può educare? Il primo soggetto (anche in ordine di apparizione) è la famiglia, poi affiancata e aiutata dalla scuola (se non la riduciamo a luogo di integrazione sociale e di trasmissione di saperi e abilità generiche), e poi da tutti gli ambiti sociali e di lavoro più significativi per la persona. Oggi il ruolo educativo della famiglia, della scuola, dell'università si è indebolito; un giovane fa i conti con un soggetto educativo reale quando comincia a lavorare. In questo molte nostre Pmi sono meglio di un professore di pedagogia. Se non siamo ancora allo sbando lo dobbiamo anche a questo, pur con tutti i limiti e le mancanze delle imprese nel rispetto di alcuni valori.

Gigi ha detto...

E' un discorso ampio e difficile, che nessuno vuole affrontare, soprattutto dal lato politico (del resto quale educazione può venire dalla politica?) ma è quello che può fare la differenza. La società è tenuta insieme dai valori non dalle transazioni. Il mercato funziona se ha regole condivise, non esiste come oggetto al di fuori dei valori. Anche l'economia e la finanza devono impararlo, pena il corto circuito. Famiglia, scuola, università, imprese grandi e piccole, istituzioni: tutti devono lavorare in una direzione. Gli antichi greci, che avevano delle piccole democrazie da difendere, lo facevano sì con le armi ma soprattutto anche grazie alla paideia. (http://it.wikipedia.org/wiki/Paideia)

Dario Boilini ha detto...

Mi permetto di sottoscrivere in pieno le posizioni di Gigi aggiungendo solo che la storia insegna che il proibizionismo ha sempre fallito generando, per di più, violenza e malaffare.

Gigi ha detto...

Già che siamo fuori tema "confidi" mi permetto di segnalare questo post(e relativi commenti) sul prestigioso blog di HRB che tocca temi a noi cari, come fiducia, valori, accountability, etc. Buona lettura:
http://blogs.hbr.org/cs/2011/07/the_deepest_deficit_trust.html