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mercoledì 20 giugno 2012

Axel Leijonhufvud: per riparare la trama dell'economia serve il coraggio di chiedere e donare

Axel Leijonhufvud è un grande economista svedese che ho avuto l'onore di conoscere durante la sua permanenza nella nostra facoltà a Trento. Vi segnalo un suo articolo: The Unstable Web of Contracts. E' stato pubblicato sulla rivista The International Economy. Parla del rischio di disfacimento della trama di rapporti contrattuali, finanziari e non, che minaccia l'economia e la società del dopo crisi.

Le banche centrali, prima e più ancora dei Governi, hanno arginato il rischio di implosione deflazionistica pompando moneta nel sistema. Abbiamo così faticosamente puntellato un equilibrio precario. Gli squilibri che hanno fatto esplodere la crisi ci sono ancora. Ci sono debitori sull'orlo dell'insolvenza, che fanno salti mortali per procacciarsi liquidità da restituire o spendere. Ci sono creditori stretti nel dilemma tra staccare la spina (e prendersi quel che resta della ricchezza dei debitori) e far finta di credere che incasseranno il dovuto.
Se i creditori procedessero a testa bassa contro i creditori, il sistema andrebbe a collassare. Le attività si trasferirebbero nelle mani della minoranza di operatori liquidi e solvibili, a prezzi sballati. Il processo manderebbe in polvere la ricchezza e i posti di lavoro di moltissimi.
Per fermare il collasso ci sono due alternative.
La prima alternativa è quella chirurgica. Si prende atto che ci sono problemi diffusi di insolvenza, e si cerca di gestirli con regole straordinarie, così come nei confronti di un'impresa fallita si applica il diritto fallimentare, e non il normale diritto dei contratti. Questo richiede un intervento politico. Il Legislatore, il Governo, devono necessariamente alterare la distribuzione del reddito e della ricchezza, che altrimenti seguirebbero un cammino incontrollato e distruttivo. Per essere efficace, l'azione politica deve affrontare questioni politicamente indigeste: a chi sarà concesso di non pagare? Chi dovrà comunque pagare? Chi dovrà rassegnarsi a non essere pagato? A chi sarà comunque garantito il pagamento? Chi sarà obbligato a pagare il debito di qualcun altro? Le risposte che le politiche concrete danno a questa serie di domande non possono sempre accordarsi con l'opinione che i comuni cittadini si fanno di quello che è giusto o accettabile.
Per i politici, quindi, è molto ma molto preferibile la seconda alternativa: non dare risposte chiare ed esplicite, e temporeggiare. Procrastinare il problema il più a lungo possibile, sperando che la questione si risolva da sola o passi a qualcun altro che verrà dopo. Per rinviare l'intervento chirurgico servono cure palliative. All'economia malata serve il pompaggio di liquidità in quantità crescenti. In questo modo si alleviano i problemi degli agenti con attivi e passivi sbilanciati per scadenze. Si affronta il problema della liquidità, e si copre il problema dell'insolvenza, anche grazie al fatto che il confine tra illiquidità e insolvenza è vago e sfumato.
Guadagnando tempo si spera che la crescita, l'inflazione, o la buona sorte, risolvano i casi di eccesso di debito.
Non può funzionare sempre. Rimane una massa di casi di insolvenza (banche lazzaretto e imprese zombie) che prima o poi occorre affrontare (leggete questo paper di Hoshi e Kashyap sulle politiche attuate nella lost decade in Giappone). Con l'aggravante che oggi in Europa rischiamo di avere anche governi zombie.
Occorre avere il coraggio della prima alternativa. I politici non hanno questo coraggio. Devono avercelo gli operatori economici, le imprese e le banche. Servono delle iniziative che nascano dal basso, per sistemare situazioni di crisi diffusa che comportano sacrifici dei creditori, ricollocazione di attivi, altre misure straordinarie fatte con criterio. Azioni che non fanno contenti tutti, ma che rappresentano un compromesso accettabile per le persone di buona volontà. Iniziative che possano poi collegarsi e coordinarsi in piani di sistema, che trovino adeguato supporto a livello legislativo, e di protocolli di accordo tra banche, imprese, tribunali, sistema di welfare pubblico e sussidiario.
Se ci buttiamo in questa avventura, ci sarà molto guano da spalare, e non è detto che si riesca a incidere. Ma è l'unica strada. 
E' una strada che l'Italia forse può percorrere meglio di altri paesi, anche se l'Italia ha leggi più barocche, è amministrata con sciatteria, ha troppi fanfaroni nei posti di comando. Ma nelle persone, nei singoli che si muovono, è più tonica, più vivace. Non è sbiadito del tutto (lo spero) il ricordo di una felicità possibile che non dipende da quello che si ha, che si alimenta anche del donare. 
Ce lo stanno ricordando tante persone buone, autentiche, tra le case diroccate dal terremoto
La verità dell'amore, della caritas
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3 commenti:

Roberto Villa ha detto...

Bello! E mi domando: e se avesse ragione? Perchè non provarci? Nel caldo afoso di questa notte e come tutte le persone di una certa età (leggi anziani, ma guaina chi me lo dice!) dormo poco e quindi ...penso! E quando penso c'è sempre qualcuno che si preoccupa! Peggio per lui/lei!!!!!!

Oracolo ha detto...

E se il debitore insolvente è lo stato? E se i creditori sono il sistema bancario?
Adesso rifacciamo le domande. Chi vince, chi perde. Chi salviamo e a spese di chi.
Per esempio: Grecia, neanche 11 milioni di persone e 727 mila statali.
E se la soluzione fosse un radicale ridimensionamento dello stato, diventato un peso insostenibile.
Trovo che il problema da risolvere non sia il problema micro, l'aziendina con problemi di liquidità, ma il problema macro, lo stato che non vuol dimagrire e continua ad alzare le tasse

Anonimo ha detto...

@Oracolo, chiaramente il BIlancio pubblico è il punto di confluenza di molti squilibri tra debiti e crediti, impegni e aspettative. Il ridimensionamento dello Stato è l'unica strada, sono d'accordo. Ma nel momento in cui i conti del settore privato saltano, si fa appello all'intervento dello Stato, dicendo che è un male minore inevitabile. E chi campa dignitosamente nel perimetro dello Stato, non si fa togliere facilmente il lavoro o tagliare lo stipendio (come vediamo accadere in Grecia o in Sicilia).
Per ridimensionare lo Stato, occorre un programma di governo lungimirante e sostenuto da un'ampia coalizione tenuta insieme non soltanto dalla convergenza di interessi particolari o dallo spauracchio di Angela Merkel, ma dalla ricerca del bene comune. Molto difficile, quasi impossibile.