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venerdì 16 gennaio 2015

Quasi pronta la riforma del Fondo Pmi ispirata dalla task force MiSE-MEF

Circa una settimana fa, Carmine Fotina sul Sole 24 ore anticipava l'imminente pubblicazione di un nuovo pacchetto di norme in materia di finanziamento delle imprese, che ha come piatto forte l'ennesima riforma del Fondo Pmi.

I nuovi provvedimenti sono stati concepiti dalla task force Industrial (o investment) compact sul finanziamento delle imprese, coordinata da Stefano Firpo (MiSE) e Fabrizio Pagani (MEF). Creata nell'aprile 2004, la squadra di dirigenti ministeriali, consulenti, accademici ed esperti bancari è uscita con alcune ipotesi di lavoro tre mesi dopo.  Ha lavorato su un fronte vastissimo, dallo sviluppo di canali aggiuntivi rispetto al credito bancario (minibond, crediti da assicurazioni e fondi pensione, connessi veicoli di cartolarizzazione e ABS), agli incentivi fiscali al rafforzamento patrimoniale (una super ACE ), all'attrazione di capitali esteri, al finanziamento delle imprese innovative, fino ai project bond di filiera.
Nello specifico del Fondo Pmi, le indiscrezioni parlano di una riforma complessiva, con l’obiettivo principale di renderlo più funzionale alle fonti di finanziamento alternative al canale bancario. Cito dall'articolo di Fotina:
Il Fondo dovrà essere aperto a nuovi intermediari, e non più solo alle banche e ai Confidi, e con un raggio d’azione più ampio per allinearsi anche agli strumenti e alle azioni della Bce. L’intenzione è aggiornare il funzionamento del Fondo alla luce delle modifiche già apportate dal decreto competitività dello scorso giugno, che ha spalancato anche ad assicurazioni, società di cartolarizzazione e fondi di credito (sia italiani sia Ue) la via dei finanziamenti diretti alle imprese (il cosiddetto “direct lending”). In sostanza il Fondo, entro determinati limiti, dovrebbe poter garantire anche le operazioni di questo nuovo profilo di intermediari.
Al tempo stesso si sta studiando il modo per consentire al Fondo di coprire anche portafogli di finanziamenti già esistenti oltre a quelli da costruire e di riconoscere una garanzia pubblica sulle emissioni Abs mezzanine, in modo che possano essere acquistate dalla Bce nell’ambito del programma Draghi. Ma non basta. Perché nelle idee dei tecnici dell’esecutivo c’è anche un ripensamento delle percentuali massime di garanzia, scendendo al di sotto dell’attuale 80% per potere contemporaneamente estendere la platea delle imprese ammesse. 
L'idea di un Fondo Pmi che opera su stock più ampi, detenuti da intermediari vecchi e nuovi e con garanzie proporzionali per quote ridotte è ripresa dal progetto di maxi-Fondo, che commentavo qui nel febbraio 2014 come dirompente e pericoloso per i confidi. Nel programma della task force si aggiunge l'allargamento della gamma di finanziamenti su cui il Fondo dovrebbe assumere quote di rischio: prestiti da compagnie di assicurazione e fondi pensione, emissioni Abs (in particolare le tranche mezzanine), fondi di credito specializzati, oltre ai minibond e ai fondi di minibond che giù oggi il Fondo può garantire.
Questa estensione strategica di uno strumento nato per fare tutt'altro chiaramente non sarà semplice e a costo zero. Già in passato non è stato facile disciplinare gli intermediari che portavano sul fondo i rischi di banali prestiti bancari (anche non abbiamo dati precisi per dire chi, come e quanto ne abbia approfittato). In prospettiva il problema si complica, dovendo lavorare su filiere di intermediazione tutte da collaudare, nelle quali aumenta la distanza tra erogatore dei fondi e impresa prenditrice, così come la complessità delle tecniche di condivisione e trasformazione del rischio (tranching delle ABS e delle quote di fondi comuni, regole di ritenzione minima, strumenti ibridi, perfino garanzie su crediti deteriorati).

I confidi dovranno ancora una volta difendere i loro spazi. Non so quanto potranno fare sulle nuove linee di attività (amici direttori sono ottimisti rispetto a cambiali finanziarie, minibond e il resto). Per parte mia, seguendo il settore da dodici anni ho imparato ad apprezzare la semplicità: il modello di confidi più solido si regge su pool di prestiti ben frazionati, rapporti stretti con le banche e le imprese socie, condivisione del rischio grazie a una dotazione di patrimonio adeguata e ben difesa. Un modello che risponde alle esigenze di una fascia di micro e piccole imprese, magari non molto glamour, che non fa volumi mirabolanti, ma che almeno riesce, grazie al confidi, a lavorare meglio con le banche e ad andare avanti.
Faccio un appello agli architetti del nuovo Fondo Pmi: difendete l'habitat naturale del settore confidi all'interno del Fondo Pmi. Stabilite quante risorse gli si possono dedicare, e a quel punto fatelo lavorare tranquillamente e soprattutto autonomamente. Create una gestione segregata dal resto, con una sua governance.
Portate avanti su tavoli separati le nuove iniziative ad alto contenuto di innovazione finanziaria: lo sappiamo, ce le chiede l'Europa, ce le chiede la BCE, ce le chiedono soprattutto i Chief Financial & Risk Officer dei grandi gruppi bancari. Che nella fregola di innovare e diversificare si possa combinare qualche pasticcio non lo escludo, anche se i Ministeri competenti e il Gestore sono stati finora molto attenti a limitare i rischi.
Quindi, innovate e diversificate, ma non fatene un pretesto per mortificare e mettere a stecchetto il sistema di finanziamento e garanzia delle micro e piccole imprese. Anzi, ci sono tante buone idee in circolazione per innovare e diversificare anche lì.



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1 commento:

Sapio ha detto...

Gli autori di questi studi dovrebbero avere più presente il proverbio "il formaggio gratis sta solo nelle trappole per i topi"