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sabato 21 febbraio 2015

Il Governo accelera sulla bad bank: qualche ipotesi su costi e benefici del modello annunciato

Ieri mattina il ministro Padoan ha discusso con Fabio Panetta, VDG della Banca d'Italia, il progetto di bad bank che è tra le priorità del Governo e dovrebbe essere annunciato in tempi "renziani" (quindi entro pochi giorni). Ne parla Reuters in questa news, citando fonti governative.

Scopo del progetto in elaborazione è quello di sgravare le banche italiane del credito deteriorato che pesa sui loro bilanci e comprime l'offerta di nuovo credito. Il mezzo è un veicolo di investimento dedicato al quale si trasferirebbero le esposizioni. Si spera così di liberare risorse (soprattutto patrimonio di Vigilanza) per la concessione di nuovi finanziamenti.
Serve davvero una bad bank, o come la si vuole chiamare? Può creare valore a favore delle banche rispetto alle soluzioni alternative, che sono il mantenimento in bilancio, o la cessione ai prezzi da saldo chiesti dai fondi internazionali specializzati? Se ne discute da qualche settimana. Segnalo le analisi di Fabio Bolognini (interessante perché scende nei particolari attuativi), Adriano Bianchi (contrario, perché il lavoro di smaltimento lo possono fare meglio gli intermediari di mercato, lo Stato agisca sui fattori che complicano e ritardano la soluzione delle crisi), Marco Onado (favorevole, per l'urgenza e la mole del problema delle sofferenze), e le mie riflessioni iniziali sul possibile ruolo dei confidi.

Cerco ora di azzardare qualche considerazione tecnica prendendo spunto dall'identikit della possibile bad bank così come tratteggiato dalle anticipazioni trapelate ieri.

La bad bank sarebbe un veicolo (non è chiaro se un intermediario creditizio, o più probabilmente un SPV di cartolarizzazione, o un credit fund) al quale dovrebbero essere trasferiti i crediti anomali. I suoi azionisti (o sottoscrittori di tranche equity) sarebbero le stesse banche cedenti, senza escludere la partecipazione di altri investitori privati. Il governo deterrebbe una piccola partecipazione.
Il veicolo inizierebbe con un equity di 3 miliardi di euro e potrebbe arrivare a comprare circa 50 miliardi di sofferenze [lorde o nette?] (fonte:  una persona a conoscenza del progetto). Il grosso del funding verrebbe dall'emissione da parte del veicolo di bond garantiti dallo Stato. Se poi le esposizioni fossero cartolarizzate, la garanzia potrebbe anche essere posta sui relativi ABS.
Da queste indiscrezioni, pare che il Governo metta sul piatto soprattutto la garanzia dello Stato sugli strumenti di funding dei portafogli ceduti dalle banche, e forse un regime fiscale di favore per la deduzione più rapida delle perdite attese (lo anticipava il governatore Visco all'Assiom-Forex).

Che vantaggi ricaverebbero le banche da un soggetto di questa natura? I modi possibili per produrli sono tre:
  1. la bad bank compra gli asset a un valore (quello di libro, più o meno) superiore al presunto valore di recupero; le banche trasferiscono perdite latenti;
  2. la bad bank compra gli asset al loro fair value, ma li gestisce meglio rispetto a come avrebbero fatto le banche, perché concentra competenze specialistiche, opera su larga scala e detiene un portafoglio rischi più diversificato, e in virtù di ciò ottiene dei tassi di recupero più alti e meno incerti;
  3. la bad bank finanzia gli asset con un mix di equity e di debito garantito dallo Stato collocato pro quota presso le banche cedenti; lo scambio tra cattivi crediti e titoli della bad bank può così ridurre, se ben calibrato, l'assorbimento di patrimonio di vigilanza.
Il vantaggio n.1 è il famigerato "regalo dello Stato alle banche". Attenzione però: da quanto appreso ieri, sono le banche stesse a dare fondi al veicolo sottoscrivendone sia bond, sia equity. Lo Stato fa un regalo alle banche soltanto nella misura del suo apporto di equity, che non a caso si vuole ridurre al minimo. Escludiamo che le banche si mettano insieme per fregarsi a vicenda, e ipotizziamo piuttosto che si accordino per cedere alla bad bank i crediti a un prezzo superiore al fair value. Si avrebbe in questo modo un vantaggio indiretto: la possibilità di diluire nel tempo le perdite su crediti ancora latenti, facendole emergere nella bad bank di cui si detengono i titoli (è quanto ipotizza Fabio Bolognini, che parla di un Fondo smaltimento sofferenze, ovvero una grande vasca di decantazione dei loro residui tossici). Un vantaggio modesto rispetto al "regalo dello Stato alle banche".

Il vantaggio n. 2 è quello virtuoso. Per ottenerlo, la bad bank dovrebbe essere una super-specialista della soluzione delle crisi aziendali. A chi può interessare? Non alle banche maggiori, che hanno la massa critica per gestire in proprio i cattivi crediti, o portandoli al recupero, o ristrutturando le attività indebitate, oppure vendendoli sul mercato internazionale, comunque nel modo per loro più conveniente, a seconda dei casi. Intesa Sanpaolo e Unicredit hanno già fatto sapere di non essere interessati al progetto. Hanno motivo di interesse molte delle banche grandi, e soprattutto quelle medie e piccole. Per portare a casa il vantaggio n. 2 occorre dare alla bad bank autorevolezza, farla dirigere da persone preparate e grintose, e infondere nel progetto una forte tensione al bene comune. E' possibile? Basta che le banche partecipanti lo vogliano, e ci lavorino con gli sponsor pubblici (MEF e Banca d'Italia) in armonia e fiducia reciproca.

Il vantaggio n.3 è quello tecnicamente più alla portata: le banche sostituiscono attivi deteriorati con titoli a ponderazione zero, anche stanziabili presso la BCE per rifinanziarsi, o vendibili sull'asset purchase program della stessa. Devono però apportare alla bad bank anche dell'equity, ponderato al 100%. L'effetto di capital saving è tutto legato alla percentuale di equity che le banche cedenti trattengono. Chiaramente il rischio equity che le banche non trattengono viene trasferito allo Stato garante dei bond. E qui può saltare dentro dalla finestra il vantaggio n. 1 nella forma clamorosa del regalo dello Stato alle banche, se gli asset sono ceduti a prezzi superiori al fair value. Ma diciamolo chiaramente: lo Stato non ha i soldi per fare regali costosi, e se anche volesse rischiarli dovrebbe far credere alla Commissione europea che comprare crediti distressed a prezzi del 20-30% superiori al mercato non è aiuto di Stato. Tuttavia lo Stato potrebbe farlo credere sulle classi di cattivi prestiti che non hanno finora trovato acquirenti perché hanno tempi, costi e rischi di recupero più aleatori, e si tratta proprio dei finanziamenti alle Pmi che più dolorosamente incidono sul deteriorato. Attenzione, quindi, perché lo Stato potrebbe assumere dei rischi enormi in barba ai controllori di Bruxelles. Alcuni diranno: bene, è un'enorme opportunità. Sì, come scommettere cinque miliardi di euro alla roulette russa, i punti di vista cambiano se si punta la pistola alle tempia propria o a quella dello Stato (che poi sarebbe la nostra).

La questione è molto più complicata di come vorrebbero far credere i fautori e i detrattori da talk show. Difficilmente avremo la bad bank concepita come gigante buono, cioè un'unica Agenzia nazionale che opera per generare i vantaggi n.2. 
Più facilmente avremo una piattaforma sulla quale costruire diversi veicoli per l'acquisto e la gestione di crediti deteriorati che beneficiano della garanzia pubblica sulle emissioni di bond o di ABS. Può darsi che tra questi veicoli ce ne sia uno promosso direttamente dallo Stato o da sue "entità delegate" (termine della disciplina UE sugli aiuti), come la Cassa Depositi e Prestiti. E non è escluso che scendano in campo anche le Regioni (e le Province autonome) con le loro società finanziarie. Più ragionevolmente, i soggetti promotori dovrebbero essere gruppi di banche con esigenze comuni (penso ad esempio alle banche di credito cooperativo).
La piattaforma delle cento e una bad bank potrebbe produrre i vantaggi n. 3 e n.1 (nella forma modesta della diluizione delle perdite), a cui dovranno essere sottratti i costi di progettazione e implementazione delle diverse strutture. Naturalmente quando si tratteranno le condizioni della garanzia statale le banche cercheranno di portare a casa qualche vantaggio n. 1 nella forma immodesta del regalo di Stato, e quelle più brave in ingegneria finanziaria e capacità di lobbying potrebbero riuscirci.

Basta, ho scritto anche troppo sulle poche voci che sono finora circolate. Aspettiamo che il progetto prenda forma, e soltanto allora proverò ad analizzarne l'impatto nel comparto che più ci interessa, quello del credito e della garanzia alle Pmi.
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