Fino a un anno fa non mi ero mai interessato di banche e Mezzogiorno, tradendo le mie origini familiari, napoletane per la parte materna. Il progetto Banca popolare delle province calabre mi ha costretto a rimediare a questa negligenza. Ho letto quindi con grande interesse la testimonianza di Fabrizio Saccomanni, Direttore generale della Banca d'Italia, presentata alla Commissione finanze della Camera lo scorso 26 luglio. Nel testo si commentano diverse vexatae quaestiones: la crisi sistemica delle banche meridionali negli anni novanta (frutto della recessione del 1992-93 in un'economia fragile che non ha beneficiato della svalutazione della lira e ha subito il calo dell'intervento straordinario nel mezzogiorno); la propensione all'impiego in loco della raccolta da parte delle banche passate sotto il controllo di gruppi del centro-nord (il rapporto impieghi/depositi ha raggiunto quasi il 100% nel 2005, ed è più alto presso le banche non locali, in grado di diversificare maggiormente i rischi); il maggior costo del credito rispetto al nord, specialmente sul breve (spiegato in gran parte dal maggior peso di classi dimensionali e settori meno affidabili, dalla lentezza delle procedure fallimentari e da altri problemi di contesto ben noti); il peso della carenza di infrastrutture e della criminalità organizzata; la bassa incidenza credito/PIL e la limitata diffusione dei conti correnti e dei servizi di pagamento bancari, ambedue collegate con il sommerso.
Il Sud racchiude enormi potenzialità. Ci sono fermenti di cambiamento in positivo dal basso, tra gli operatori economici, nella società civile, nell'università, che innescano dinamiche di contagio virtuoso, alimentando le speranze e il senso di responsabilità delle giovani generazioni.
Tra gli elementi positivi, la relazione di Saccomanni ricorda il ruolo dei confidi:
Secondo nostre stime, nel Mezzogiorno le piccole imprese appartenenti al Confidi sono caratterizzate da una minore probabilità di ingresso in sofferenza e beneficiano di un costo del credito significativamente più basso - quasi un punto percentuale - rispetto a imprese simili non aderenti ai consorzi.I confidi possono essere un agente di cambiamento decisivo a supporto di chi fa impresa nel Mezzogiorno. Devono però sentire una fortissima vocazione a questo ruolo, e lavorare con intelligenza, tenacia e apertura per arricchire le loro competenze e consolidare le strutture. Soltanto così potranno difendere i loro spazi. Una politica attendista li porterebbe inesorabilmente nell'orbita dei mega-confidi del centro-nord, e si ripeterebbe la storia già vista tra le banche. In ogni caso, è vitale per loro innestarsi su filiere forti di trasferimento del rischio verso il mercato (cartolarizzazione): la concentrazione geografica del portafoglio può essere fatale nel Sud, e gli aiuti pubblici non bastano a difendere dai suoi pericoli (negli anni novanta si sono interrotti quando è scoppiata la crisi).
Per cambiare occorre però un lavoro incessante, come un ritmo dei Tarantolati di Tricarico.
Luca
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