Dopo la crisi dei subprime serpeggia del nervosismo nei rapporti tra le agenzie di rating, i mercati e l'opinione pubblica. Questo articolo dell'Economist del 6 settembre riassume i motivi di perplessità del mercato e le controrepliche delle agenzie. La credibilità delle agenzie di rating ha vacillato sotto i colpi della crisi dei titoli strutturati. Le agenzie negli ultimi cinque anni hanno tratto da questo mercato quasi la metà del fatturato per emissione di rating, oltre a generare ricavi collaterali per le loro divisioni di consulenza. Solo l’1% delle emissioni è stata finora declassata, si sono difese così le principali agenzie per provare la correttezza della maggior parte dei giudizi espressi. I mercati non sono stati altrettanto cauti, e si è assistito a cadute brusche delle quotazioni di questi titoli, e all’aumento degli spread sulle nuove operazioni.
Il pezzo dell'Economist rinvia ad un articolo del 2006 di Frank Partnoy, giurista dell'Università di San Diego How and why credit rating agencies are not like other gatekeepers (scaricabile previa registrazione gratuita su SSRN). Si analizzano le possibili cause di conflitto di interesse tra il ruolo di valutatore indipendente del rischio, disciplinato dalla reputazione, e quello di società for profit, con ricavi fatturati agli emittenti, e collegati al numero di transazioni oggetto di rating. Partnoy cita per confronto il caso delle accounting firms che hanno un problema di conflitto, in parte analogo, tra le funzioni di certificazione contabile e di consulenza. Le differenze superano però le analogie. Vi consiglio questa lettura molto stimolante, fatta da un osservatore che conosce bene il mercato USA.
Non è facile trovare rimedi praticabili alle falle del sistema di incentivi delle agenzie: favorire l'ingresso di nuovi player per stimolare la concorrenza? Si accentua il rischio di rating compiacenti per vincere mandati (dirò poi come agisce Basilea 2 su questo punto). Far pagare il rating dagli investitori? Non è facile, e le informazioni sul rating diventerebbero meno accessibili. Rendere le agenzie legalmente responsabili dei danni subiti dagli investitori che subiscono i default "altamente improbabili"? Negli USA questo andrebbe in contrasto con il principio della libertà di espressione (le agenzie sono parte di gruppi editoriali). Una soluzione, indicata da Partnoy, sarebbe quella di ridurre l'influenza dei rating togliendo loro valore a fini regolamentari, nelle normative sui servizi di investimento e di vigilanza prudenziale: e cosa usare al loro posto? Gli spread creditizi di mercato? Troppo volatili.
Penso che il mercato trovi nei rating delle agenzie un punto di riferimento difficile da sostituire, con tutti i limiti che questo può avere in alcuni comparti o in singoli episodi di crisi. Sono gli investitori che devono farsi carico di soppesare il rischio di inaccuratezza e di instabilità dei rating, che cambia a seconda del mercato e della classe di merito creditizio. Ci pensano le stesse agenzie a correggere nel tempo i modelli che si sono rivelati poco robusti.
Vedo inoltre dei pericoli in un attacco ai rating proprio adesso, a tre mesi dall'entrata a regime di Basilea 2. Il nuovo Accordo non è certo un'operazione promozionale a favore di Moody's, S&P's e Fitch, dato che introduce un elemento di concorrenza nuovo, ovvero la possibilità per le banche IRB di scegliere tra rating esterni ed interni: anche i secondi valgono a fini di vigilanza, e la stessa banca può quindi decidere se scommettere sulle proprie valutazioni del rischio o se avvalersi del giudizio di un'agenzia (questa alternativa si pone, ad esempio, per le cartolarizzazioni). Inoltre, potranno competere sul mercato nuove ECAI "regionali" (ne parlavo qui), specializzate in particolari paesi o settori.
Insomma, non perdiamo la fiducia nella capacità dei mercati finanziari di correggere i propri malfunzionamenti: non sempre i controllori riescono a prevenirli, e c'è chi ne approfitta, prima della crisi, per incamerare lauti guadagni (non è detto che riesca a conservarli). Abbiamo però la libertà di stare alla larga dalle bolle speculative, e di invitare gli amici a fare altrettanto: il tipo di finanza che risponde a bisogni reali va avanti per la sua strada. Le crisi la disturbano, ma non la fermano.
Luca
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