Jeremy Grantham, investment manager alla guida di GMO, aveva messo in guardia dai rischi di bolle ripetute già nel 1998. Oggi è tra quelli che può dire a ragione "L'avevo previsto". Nell'ultima newsletter ai suoi clienti dice che è il momento di investire in azioni, anche a rischio di subire la "maledizione del value investor", cioè "compra e pentiti" perché i prezzi possono scendere ancora di più .
L'Economist riprende in questa column le sue riflessioni sulle dinamiche organizzative che hanno portato il sistema delle investment banks americane a lanciarsi a velocità folle verso il baratro. Il primo motivo è banale: quando una banca leader diventa una macchina da utili, è inarrestabile come una locomotiva in corsa. Il secondo motivo è più sottile. Nella contesa per il potere, vincono i manager che riescono a far viaggiare la banca a tutta velocità quanto più a lungo possibile, ed è probabile che siano quelli con un cervello sinistro dominante, ovvero concentrazione, energia, decisionismo, capacità politiche e, nei casi migliori, intelligenza analitica e carisma. Le banche follower scimmiottano i modelli di business e gli stili di leadership dei vincenti, alimentando il boom dei mercati con i loro comportamenti meccanici. Chi si oppone adducendo ragioni da cervello destro, dettate dall'esperienza storica, dall'intuizione di un futuro diverso, popolato da cigni neri, si autocondanna alla derisione dei colleghi e degli azionisti.
Per fortuna, i guidatori left-brain che sanno portare il treno a velocità folle, sono anche le persone più capaci di comandare il freno di emergenza prima di un possibile schianto, e invertire la marcia. A Paulson, segretario al Tesoro (ex Goldman Sachs), è sfuggito qualcosa nei mesi scorsi, ma può essere la persona giusta per uscire dalla crisi, meglio di un timoroso burocrate.
Sarà.
Ad ogni modo, invitiamo i passeggeri a reggersi forte.
Luca
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