Fa impressione non leggere niente sull'Italia nell'articolo dell'Economist uscito ieri sui piani di salvataggio dei sistemi bancari negli USA e in Europa. Vicino agli annunci degli USA, del Regno Unito e della Germania, l'Italia non fa notizia: nessuna crisi conclamata, quindi nessun bisogno di fare il conto delle perdite emerse e latenti, e appostarne la copertura a botte di centinaia di mliardi. Anzi no, in chiusura il giornale cita Unicredit Group come esempio virtuoso di ricapitalizzazione con sole risorse private. Il Governo ha approvato ieri il DL n.155 che consente allo Stato di sottoscrivere azioni di banche con problemi di adeguatezza patrimoniale e di aggiungere per 36 mesi la propria firma alla garanzia sui depositi del Fondo Interbancario. Secondo alcuni commentatori, il DL prevede, in caso di interventi nel capitale, il ricorso ad azioni prive del diritto di voto, ma non sono riuscito a trovare appoggi per questa affermazione né nel testo, né nella relazione illustrativa, anzi si prevede una sospensione del voto capitario nel caso di banche popolari. Niente cifre, trattandosi di interventi eventuali e allo stato delle cose altamente improbabili. La nostra finanza pubblica non consente di strafare.
La crisi ci tocca attraverso i mercati finanziari: l'interbancario, che di fatto è stato soppiantato dalle banche centrali, e soprattutto la Borsa. Il banking book, impieghi e raccolta, appare solido. A dire il vero, so di qualche amico preoccupato che ha spostato i suoi depositi da una banca all'altra, o in posta. Sarà per l'esiguità del mio portafoglio finanziario, o per la mia avversione all'opportunismo (o la mia pigrizia), ma l'idea non mi ha sfiorato.
Non è che non mi preoccupi delle notizie che arrivano da New York, o da Londra. Nel mondo ballano 1,4 trilioni (1400 miliardi, stima del FMI) di dollari di perdite su attività finanziarie. Soldi che qualcuno ha investito e che non torneranno, che mangiano il patrimonio di quel qualcuno e passano, per la differenza, ai suoi creditori. Un drenaggio senza precedenti della ricchezza finanziaria, che può essere solo assorbito oggi oppure, col denaro pubblico, spalmato nel tempo. E tutti concordano (anch'io) sul fatto che i Governi debbano intervenire con la mano pesante come mai nella storia, perché l'alternativa sarebbe una depressione economica prolungata che avrebbe conseguenze incalcolabili, e trasferimenti selvaggi di ricchezza che potrebbero scatenare conflitti tremendi.
Che effetti avrebbe una recessione prolungata sulla salute finanziaria delle nostre imprese, con credito scarso e premi al rischio gonfiati? Le nostre banche hanno bilanci più solidi della media europea, ma l'economia reale? Veniamo da anni buoni (ce lo confermano i dati cumulativi di Mediobanca), ma non possiamo scommettere sulla tenuta dei margini e della struttura finanziaria in uno scenario di burrasca prima, e di recessione poi.
Tutti ora invocano interventi dall'alto: iniezioni di capitale pubblico nelle banche, ondate di liquidità, concertazione tra governi, ri-regolamentazione. Qui, nel nostro amato paese, godiamo ancora un'apparente serenità. Per non farsi contagiare dalla paura vedo una sola possibilità: darsi da fare, con azioni dal basso; convincere le imprese a ricapitalizzarsi, se ne hanno i mezzi; tenere in piedi il circuito di credito e garanzia a medio termine; stare vicini con umanità agli imprenditori costretti a uscire dal gioco, a chi perderà il lavoro.
Il massimo disordine finanziario non può cancellare il desiderio di bene, la disponibilità al sacrificio, l'operosità gratuita. Le piramidi di carta sono cadute, ma la realtà rimane, ci è data, la possiamo toccare, abbracciare ogni giorno. Non si è fatta da sola, e non si dissolverà come un sogno, o una scommessa bizzarra.
Esserci, rispondere, non c'è opzione più conveniente, oggi. Impegnarsi, liberamente, senza calcolo, costruire con chi ci sta. Forse in questo modo si potranno conservare degli spazi di ordine, di solidità, se la situazione dovesse peggiorare, e si darà massima efficacia agli interventi dall'alto, potendoli indirizzare verso le vere necessità con idee ragionevoli e nuove, se servirà.
Luca
Tutti invocano ad un senso di responsabilità diffuso, ma dimenticano che la reputazione è un qualcosa di immateriale che è difficile da costruire ed assodare. L'Italia in momenti difficili a sempre dimostrato di saper reagire ma il margine di credibilità verso chi dovrebbe dare l'esempio si è eroso troppo!! A noi giovani ci dicono di stare "tranquilli" ma quando avremo le nostre opportunità?
RispondiEliminaCaro Claudio, conosco un grandissimo educatore che era d'accordo con lei, perché diceva ai giovani "Vi auguro di non stare mai tranquilli", e accettava il rischio di reinventare (o meglio, di riscoprire) con ogni generazione la sua proposta di umanità cambiata. Questa persona è don Luigi Giussani.
RispondiEliminaUn giovane ha per dono naturale il coraggio di costruire, e anche in Italia ci sono adulti che non tradiscono questa apertura positiva.
Questo atteggiamento ripaga con l'intensità e il gusto del vivere che porta con sé, checché dicano o facciano gli sfiduciati o gli opportunisti (giovani o vecchi). Soltanto per questa via può cambiare in meglio la società, ma questo ha tempi e modi che non dipendono da noi.
D'accordissimo !!!!!
RispondiElimina