domenica 15 febbraio 2009

Veronesi e Zingales sui costi nascosti del piano Geithner



Il maxi-piano di salvataggio del sistema finanziario americano messo in campo dall'amministrazione Obama prevede lo sgombero dei toxic assets dai bilanci bancari verso fondi di investimento co-finanziati dal Tesoro e dai privati. In prima pagina del Sole 24 ore di oggi Pietro Veronesi e Luigi Zingales, professori di finanza a Chicago, si chiedono come farà il segretario al Tesoro Geithner ad attrarre gli investitori privati. Costoro potrebbero già oggi farsi avanti e offrire un prezzo di realizzo. Il problema è che quel prezzo le banche metterebbero a libro perdite da farle schiantare. Per indurre gli investitori a pagare prezzi non troppo inferiori agli attuali valori di libro, Geithner probabilmente riproporrà schemi simili a quelli da lui stesso ispirati (da Direttore della Fed di New York) per puntellare Citigroup (ne parlavo qui). In sostanza, i fondi sarebbero strutturati come delle cartolarizzazioni, nelle quali gli attori pubblici (il Tesoro, la Federal Deposit Insurance Corporation e la Fed) si assumerebbero tranche di rischio mezzanine e senior, ovvero il rischio di perdite superiori a livelli soglia. L'impegno sarebbe in denaro (per la parte mezzanine) e di firma (per la parte senior). L'uscita immediata sarebbe quindi contenuta: nel caso della garanzia su crediti immobiliari data a Citigroup il Tesoro ha allocato $5md di fondi TARP per garantire un pool di $306md di crediti immobiliari. Veronesi e Zingales dimostrano che il costo per il contribuente è molto più alto dell'uscita cash, essendo pari al fair value di un senior CDS sul pool trasferito (lo stesso tipo di assicurazione anti-catastrofe che ha portato AIG al fallimento). Come gli stessi autori evidenziano in un paper di novembre 2008, dal titolo evocativo Paulson's Gift, aiuti del genere trasferiscono ricchezza dal contribuente ai detentori di passività non garantite delle banche (gli azionisti chiudono in pareggio). Data la macchinosità delle strutture e la difficoltà di valutarne gi effetti, si rischia una distruzione netta di valore, cioè lo Stato spende più di quanto recuperano gli obbligazionisti delle banche.
C'è un impasse: nemmeno gli USA possono permettersi un piano di pulizia degli asset tossici, costerebbe una cifra impossibile da finanziare ($4.500md, 4,5 trilioni). Garantirne le perdite estreme costerebbe di meno, oggi, ma potrebbe portare il Tesoro USA al default se le sofferenze su mutui dovessero esplodere.
I creditori e i garanti di Lehman Brothers hanno perso 92 centesimi per dollaro quando la banca è fallita. Forse sarebbe il caso di proporre una ristrutturazione preventiva del debito delle altre banche USA in modo che un sacrificio meno grave consenta di assorbire la gran parte delle perdite nascoste. Come proponeva Ferguson, si potrebbe anche rimettere parte del debito ai mutuatari che non sono ancora inadempienti, ma che potrebbero diventarlo preso con le clausole trappola di adjustable rate e negative amortization. E una cura del genere serve anche a diversi gruppi bancari europei che hanno gli attivi pieni di queste stesse esposizioni, o di roba non meno indigesta.
Ma esiste al mondo una leadership capace di un'impresa del genere?

Luca

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