Con qualche giorno di ritardo, riprendo l'annuncio dell'imminente emissione di Tremonti bond da parte del Banco popolare per 1,45 miliardi di euro. Ne ha parlato a più riprese, ad esempio, il Corriere con un'anticipazione e una conferma. Gli impegni principali sono tre. Il primo obbliga il Banco Popolare a far crescere gli impieghi alle piccole e medie imprese per il prossimo triennio almeno del 6% annuo. Il secondo impegno è di contribuire con 21,75 milioni di euro al Fondo centrale di Garanzia per le piccole e medie imprese [lo sapevate?]. Il terzo impegno riguarda la sospensione per 12 mesi e senza oneri, del pagamento delle rate dei mutui per l' acquisto dell' abitazione principale (compresi i mutui cartolarizzati) ai cassaintegrati e a chi perde il lavoro. A ruota dovrebbero poi seguire i decreti relativi alle banche che hanno fatto richiesta subito dopo il Banco popolare: Montepaschi, per 1,9 miliardi; Bpm per 500 milioni; infine Unicredit, che ha ripartito la richiesta di 4 miliardi fra Italia e Austria. Intesa Sanpaolo ha invece deliberato la richiesta per 4 miliardi, ma ancora non ha presentato la richiesta formale.
In un articolo di ieri Massimo Mucchetti illustra una proposta di Enrico Salza (presidente del Consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo) intesa a far fondi per rafforzare il patrimonio delle banche non quotate, che non accedono ai Tremonti bond.
Stiamo parlando del progetto di vendere le quote della Banca d' Italia di proprietà di 57 banche e casse di risparmio (oltre che di Inps, Inail, Generali, Fonsai, Milano Assicurazioni, Allianz e Reale Mutua) alla Banca d' Italia stessa che poi le ricollocherebbe presso una vasta platea di investitori istituzionali interessati a un rendimento contenuto e a basso rischio. In questo modo avremmo tre effetti positivi: a) la banca centrale vigilante non sarebbe più posseduta dai vigilati e darebbe vita a un mercato delle quote, sia pur sorvegliato, che conferirebbe un valore a ciò che oggi valore vero non ha; b) si darebbero ulteriori risorse patrimoniali alle banche, principalmente a Intesa, Unicredit, Monte dei Paschi, Bnl e Carige; c) queste e le altre banche beneficiarie dovrebbero destinare una parte dell' incasso alla sottoscrizione di strumenti di capitale che le 665 banche non quotiste avrebbero facoltà di emettere pagando interessi di mercato, probabilmente inferiori al tasso dei Tremonti bonds.Si parla quindi, e non per la prima volta, di riacquisto delle azioni Banca d'Italia oggi negli attivi di banche e assicurazioni.Una dismissione che non rafforzerebbe il patrimonio, semmai il free capital e la liquidità delle attuali "quotiste". Liquidità che sarebbe fornita da nuovi soci, investitori puri, alla ricerca di un rendimento sicuro (strumenti di capitale di una banca centrale federata nella BCE, un investimento davvero peculiare, nei fatti una passività del settore pubblico).
Ben vengano le iniezioni di capitale bancario, ma aspettiamo per giudicarne gli effetti, sapendo che per sbloccare il circuito del credito non basta il supporto patrimoniale.
Luca
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