Sono tornate le ceneri vulcaniche. Il cielo caliginoso sfuma i contorni di una crisi sistemica (parole del Presidente della BCE) della moneta e dei mercati finanziari europei. Schizzando sopra il 10%, i rendimenti dei bond ellenici hanno segnalato che i mercati non credono al piano di salvataggio da 110 miliardi. Un possibile break-up della moneta unica si profila, minaccioso come mai in passato.
I governi dell'Unione cercano di affrontare l'emergenza, ma colgo in loro l'angoscia di veder materializzare quello che mai doveva succedere. Nell'immediato, se vogliono essere credibili, le autorità devono dare mano libera alla BCE nell'acquisto di bond sovrani, come ha fatto la Fed nella fase più acuta post-Lehman. Così continuerebbe la serie di passaggi in linea del debito deteriorato, dagli attivi bancari, ai portafogli di titoli pubblici e ora (forse) alla circolazione monetaria. Lo faranno?
Non lo so, perché lo spirito dei comunicati non è à la guerre comme à la guerre. La fase due (e tre, quattro, cinque ...) della cura prevede (finalmente?!) rigore nei conti, disciplina dei mercati finanziari (contro i rischi eccessivi e, oggi soprattutto, gli speculatori). Principi astratti. La realtà sarebbe una stretta draconiana della finanza pubblica, insufficiente a evitare alcuni default, la conseguente paralisi dell'intermediazione bancaria e una recessione ancora più profonda. Il tutto poi condito da default bancari e svalutazioni del cambio.
Se i tempi diventano duri, ma duri davvero, c'è chi è pronto a spargere sale sulle ferite, li abbiamo visti all'opera per le strade di Atene. Sì, perché in Europa (a differenza degli Stati Uniti) abbiamo ancora drappelli di rivoluzionari di professione in servizio effettivo, e tanti che da giovani avrebbero voluto esserlo. Se non ci fossero, la situazione sarebbe sempre durissima, ma meno esplosiva.
Ma anche senza scomodare i pronipoti dei nichilisti dell'ottocento, possiamo immaginare il malcontento che monterebbe andando a smontare lo Stato pletorico che ha somministrato un benessere illusorio nell'epoca d'oro del debito in euro a buon mercato.
In Italia siamo messi, come all'inizio della crisi, meglio dei cugini mediterranei (o irlandesi); per solidità delle banche e dei patrimoni privati siamo anche meglio dei partner più blasonati. Abbiamo i nostri enormi problemi di debito pubblico, ma forse siamo quelli che possono gestirlo senza intaccare bisogni primari, anzi in molti casi recuperando utilità reale ed efficienza della spesa. Ma dobbiamo correggere la follia della redistribuzione della ricchezza dai figli verso i padri e i nonni, e dalle attività che rischiano a quelle protette (ma le seconde saranno sempre meno, se i soldi pubblici finiscono, e guai a sprecarli per mantenerle in rianimazione).
Perché scrivo questo, dopo una settimana dominata dallo scoop del nuovo Titolo V del TUB, con le annesse questioni di importanza capitale come la natura unitaria o duale dell'Organismo di vigilanza sui confidi?
Non è per vezzo da editorialista (nel senso di automobilista) della domenica. C'entra con le "nostre" questioni. Le situazioni di incertezza, come quelle in cui siamo e verso cui andiamo, o deprimono, o risvegliano. Le imprese italiane devono prepararsi a navigare in acque agitate o tumultuose. Per farlo, servono consapevolezza e strumenti. E soprattutto, il far conto sulle proprie forze, meglio se associate con quelle di altri partner.
Dopo anni di bonaccia relativa (nell'Europa a 15) prepariamoci a veder ballare tassi e cambi. Non facciamoci cogliere impreparati dal probabile aumento dell'Euribor. Impariamo a fare piani di business e finanziari con monete diverse, inflazione variabile, opportunità da cogliere con rigiro velocissimo.
Anche gli strumenti che macinano numeri, veicolano informazioni, processano pagamenti, guidano le decisioni sono importantissimi. I sistemi di contabilità e di regolamento più sofisticati li hanno sviluppati in Brasile con l'inflazione mensile a due cifre. Speriamo di non arrivare lì, ma in ogni caso prepariamoci. Senza questi radar, i pur vitalissimi imprenditori nostrani non riusciranno a fare business, andandolo a scovare in capo al mondo, nei paesi giovani che hanno più energie per crescere.
Per questi motivi torno ad occuparmi con gusto dell'Organismo gestore dell'elenco e art. 112 nuovo TUB, di portale finanziario per le Pmi, e a riprendere in mano gli attrezzi che si usavano nei turbolenti anni settanta/ottanta. Ci siamo passati attraverso quella lunga crisi da stag-flazione. I miei genitori, da giovani, hanno superato una guerra terribile, e quanto mi sta aiutando la serenità che ricordo nei loro racconti di quel periodo. Si va avanti, non c'è motivo di disperarsi.
Non tutti la pensano come me in fatto di priorità. Nel dibattito sulle "nostre" questioni, ancora ci sarà chi si dispera per un posto in più in qualche CdA, chi dice le cose che gli hanno detto di dire, chi è intelligente (ma non si applica), beh, lo lasceremo parlare da solo, che non si offenda per questo.
Venga a lavorare con noi, diventeremo amici.
Luca
Vigilantibus iura succurrunt, diceva un brocardo di scuola giurisprudenziale. E tutti noi dovremmo attingere dall'esperienza millenaria che trasuda da queste parole per determinare e vivere questi nostri mala tempora.
RispondiEliminaPer il caso dei confidi potrebbe essere più semplice, paradossalmente, perche' le regole in materia (iura) per quanto in continuo movimento hanno ancora la possibilità di essere plasmate (il documento e' ancora in consultazione: che fanno i confidi?).
Purtroppo ciò che noto in generale e' la cura ossessiva del proprio particolare, della propria carriera, del proprio tran tran... Il bene pubblico? Non esiste, se esiste va gestito dagli altri, non essendo di competenza...
E' così anche per chi crea le norme: incredibile ma vero l'emendamento proposto relativo ai conducenti di auto blu...
Forse sono uscito dal solco della discussione, ma spero sia concesso anche un po' di pensiero laterale... Finche ne rimane...
Grazie al blog e a Luca per questi spazi.
Grazie a te, Dodona. Qui c'è una cosa sola da fare: fare, al di là di ogni calcolo o paura di sbagliare. Cum grano salis, naturaliter.
RispondiEliminaAl pessimismo della ragione subentri l'ottimismo della volontà. Nulla di quel che non vogliamo perdere andrà perso.
RispondiEliminaE' facile, stamattina dire questo, con le borse che volano e il piano da oltre 700 miliardi di euro approvato in nottata, difficile era pensarlo ieri.
Resta il fatto che solo un'azione concordata a livello mondiale riesce a far fare ai mercati i movimenti voluti. Sembra quasi che i governi si comportino come addestratori di mercati. Una scudisciata di qua, una bistecca di là, e la tigre dei mercati si addomestica, con la difficoltà che bisogna mettersi d'accordo in millanta per decidere quando la bistecca e quando la scudisciata.
Ridare fiducia ai mercati e metterli in linea con quanto desiderabile è diventato l'esercizio principale dei consessi internazionali (alla faccia degli ultraliberisti da strapazzo che vorrebbero i mercati come il fernet, sopra tutto).
Forse dopo l'Europa del carbone e dell'acciaio, serve un'Europa della fiducia e della politica.
Parafrasando il D'Azeglio (in questi tempi di celebrazioni patriottiche la citazione m'è d'obbligo): fatto l'Euro bisogna fare gli Europei.
E qui serve tutto l'ottimismo del mondo, visti i precedenti.
Ma è il nostro, difficile, compito: almeno proviamoci, non avremo la stima dei nostri figli se non lo faremo.
Sempre che ci interessi di più di un posto in CdA.
Gigi: il mio intervento è profondamente ottimista. ' bene che i mercati abbiano dato fiducia al piano UE. Però la vera partita non si gioca lì. Non sappiamo ancora quale sarà la cura della crisi e delle terapie d'urgenza attuate e di prossima attuazione . Si può fare molto accettando che la responsabilità in fondo è nostra.
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