martedì 1 giugno 2010

Dalle Considerazioni finali



Ieri ho seguito in diretta la lettura delle Considerazioni finali del Governatore della Banca d'Italia mentre ero in viaggio. Cito alcuni passaggi:
L’industria finanziaria sostiene che la riforma regolamentare potrebbe ostacolare la ripresa. Ma l’applicazione delle nuove regole sarà graduale; non comincerà prima che la ripresa si sia consolidata. Il passaggio verso la nuova definizione del capitale delle banche sarà lungo abbastanza da renderne trascurabili, durante la transizione, gli effetti sul valore di mercato delle banche e sul credito. È importante che le difficoltà del presente non portino a una diluizione degli obiettivi di lungo periodo, che devono rimanere fermi.[...]
Il credito alle imprese era sceso del 3,7 per cento a dicembre 2009 rispetto a settembre, in ragione d’anno. La contrazione si è fatta meno intensa dall’inizio di quest’anno: nei tre mesi terminanti in aprile è stata pari all’1,0 per cento. La flessione è più forte nelle regioni del Nord, in cui più intensa è l’attività industriale; i prestiti alle imprese del Mezzogiorno sono tornati a crescere. Il credito alle famiglie continua a espandersi, sebbene a ritmi moderati.[...]
Le grandi banche si giudicano anche da come organizzano l’attività sul territorio: mantenere, valorizzare il rapporto con l’economia locale significa utilizzare nella valutazione del cliente conoscenze accumulate nel corso di anni, ben più accurate di quelle desumibili da modelli quantitativi; significa saper discernere l’impresa meritevole anche quando i dati non sono a suo favore; significa saper fare il banchiere.[...]
L’area dell’euro è nel suo complesso più solida di altre aree valutarie: il suo bilancio pubblico, i suoi conti con l’estero sono più equilibrati. Ma l’attacco che la colpisce oggi non guarda al suo insieme; sfruttando l’opportunità offerta dall’incompiutezza del progetto, si dirige verso i suoi membri più deboli. Non c’è che una risposta: l’euro vive con tutti i suoi membri, grandi e piccoli, forti e deboli. Se è stato illusorio pensare che la moneta da sola potesse “fare” l’Europa, oggi l’unica via è quella di rafforzare la costruzione europea nella politica, con un governo dell’Unione più attivo, nella disciplina dei bilanci pubblici e nel progresso delle riforme strutturali, con un nuovo patto di stabilità e crescita al tempo stesso più vincolante e più esteso.
Siamo nel mezzo di una traversata, e possono far bene le parole rassicuranti del Governatore, mentre si cammina e si lavora.

Luca

6 commenti:

  1. (...) "Le grandi banche si giudicano anche da come organizzano l'attività sul territorio: mantenere, valorizzare il rapporto con l'economia locale significa utilizzare nella valutazione del cliente conoscenze accumulate nel corso di anni, ben più accurate di quelle desumibili da modelli quantitativi; significa saper discernere l'impresa meritevole anche quando i dati non sono a suo favore; significa saper fare il banchiere." (...)
    Il "valore aggiunto" della consulenza dei Confidi dovrebbe proprio concentrarsi nel fornire all'impresa socia ed alla Banca indicazioni utili che esulino dalla mera lettura dei bilanci.

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  2. Resta da capire quali siano le "indicazioni utili".
    Ovvero, si tratta di far consulenza? Chiamiamola con il suo nome. Un confidi (o l'associazione di categoria di riferimento) fa consulenza finanziaria, ovvero fa quella consulenza che in banca (tutte le banche, anche le bcc) non si fa. Questo sta bene, sta benissimo. Chiamiamolo business office o come volete, ma strutturiamolo e facciamolo emergere da quello che è l'attività di mera garanzia del confidi.
    "Discernere l'impresa meritevole": questo è il compito di un banchiere. Questo vuol dire fare il banchiere. Chi lo fa? Oggi tutto è delegato ai rating e ai modelli statistici. Sono da buttare? No, assolutamente no: sono da integrare con competenze che, nel tempo sono state abbandonate. Si è pensato di automatizzare la valutazione del merito di credito affidandolo ai rating. Questo non basta per almeno due motivi: il rating per sua struttura non può guardare al futuro ma ragiona, pur in senso predittivo, con in dati del passato (e questo non è superabile se non con l'intervento umano).
    Secondo: il rating ha deresponsabilizzato la catena di comando dei deliberanti; se il rating dice picche sono picche se dice fiori sono fiori. Difficilmente un umano si mette a litigare con il rating, non fosse altro per la costruzione dei ruoli, delle responsabilità, e dei sistemi sanzionatori all'interno delle banche. Se si vuole fare la banca del territorio (e questo vale anche per i confidi) bisogna formare di più gli uomini e non bisogna deresponsabilizzarli di fronte al rating. Bisogna ripristinare quello che nelle banche di una volta erano le competenze creditizie forti e rifare l'organizzazione delle delibere, del monitoraggio e del recupero crediti. Alla Comit, al Credit, alla BNL, e in molte grosse banche una volta si facevano corsi di 6 (sei, lo scrivo anche in lettere) mesi per imparare i crediti e poi si facevano anni di pratica ed esami di tre giorni prima di avere la facoltà di deliberare. A quel punto il bilancio era solo un aspetto della valutazione. Negli ultimi 15 anni le banche hanno delegato queste competenze ai sistemi automatici (e a qualche fantomatico ufficio centrale che delibera solo se tutti i dati sono buoni) e hanno promosso a direttore o capo area (con facoltà di delibera) solo chi vendeva polizze alle vecchiette o derivati alle aziende o agli enti. La logica strategica è stata puramente finanziaria e non industriale (complici le grandi società di consulenza americane, per non far nomi, McKinsey etc.). Fare ROE (o EVA), non business quello vero, questo è stato l'imperativo da metà degli anni '90 in poi. "E' il mercato, bellezza", questo era il ritornello!
    Forse è ora che qualche super manager ascolti l'appello di Draghi ovvero impari a discernere le imprese buone nonostante i dati. Così potrà vantarsi di essere un Banchiere con la B maiuscola.

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  3. La consulenza finanziaria non basta; ce ne vuole una più ampia ed integrata. Le imprese meritevoli, salvo grandi capacità imprenditoriali, vanno costruite, aiutate, portate ad essere tali attraverso un percorso difficile ma condiviso; devono però volerlo anche loro!
    La consulenza buona è quella che, oltre ai contenuti solidi, si basa su di un rapporto fiduciario con l'imprenditore e che viva con lui l'azienda quando si deve preparare un contratto, valutare economicamente un'operazione, esaminarne i rischi, ristrutturare finanziariamente l'impresa,attuare un processo di internazionalizzazione, ecc..
    Questo dovrebbe essere lo spirito del Business Office.
    La consulenza buona è quella che aiuta l'impresa a commettere meno errori in un mondo difficile. Mettere in campo tutto ciò, però, non è così semplice: necessita di capacità e di spirito di sacrificio per chi fa consulenza e, prima di tutto, consapevolezza dei benefici da trarne per chi la riceve e per chi la vuole organizzare.

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  4. @ Gigi: sono d'accordissimo con te. Ma non c'è più nessuno in banca che possa insegnare il mestiere ai giovani. E inoltre i sistemi automatici, ma ne vogliamo parlare? Qual'è il loro accuracy ratio (capacità previsionale misurata coll'indice di concentrazione del Gini)?
    Per capire perché non possono proprio migliorare basta pensare ai sistemi di instradamento verso l'uno o l'altro algoritmo di calcolo. Sono basati sul SAE e RAE che sono categorie statistiche generiche e fallaci, nate ad uso esclusivo di BdI, tanti, tanti anni or sono.

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  5. Per "indicazioni utili" che il Confidi dovrebbe condividere con la Banca, intendevo tutte quelle informazioni "qualitative" sull'impresa che l'Istituto di Credito difficilmente potrà mai ottenere direttamente dal colloquio con il cliente. Infatti, sotto un profilo psicologico, gli imprenditori vedono le Banche quasi sempre come controparte interessata e non come partner.
    Altro conto è poi strutturare una seria consulenza finanziaria e legale per le PMI, la quale, a mio parere, dovrà comunque sempre tener conto dell'impatto costi/benefici per l'impresa che la richiede.

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  6. @excelsus
    D'accordo su tutto. Il fatto che le banche siano partner non vuol dire che non debbano essere contemporaneamente "parte interessata". Lo si è sempre in affari. L'importante è ragionare in una logica di partnership pur consapevoli che ognuno deve guadagnarsi il pane e su questo ci sta anche la trattativa sul prezzo e la tendenza ad opacizzare il rischio. Certo, cercare di ottenere credito nascondendo le informazioni oppure cercare di appioppare polizze inutili all'imprenditore non è molto etico, ma è nel gioco delle parti. L'importante è aver ben chiaro ognuno il proprio ruolo. Forse un po' di consulenza tecnica alle imprese per capire le furberie delle banche sarebbe necessaria, così come la formazione ai funzionari bancari per capire dove si può nascondere il rischio (o le opportunità) dentro un'azienda, oltre ai dati di bilancio sarebbe più che opportuna. Ma è proprio di questo che stiamo parlando...
    Sull'analisi costi/benefici si potrebbe aprire un capitolo di teoria delle decisioni, ma andiamo oltre lo scopo di questo blog. Posso solo dirti che ho spesso visto utilizzare questo metodo per dare pseudoscientificità a decisioni già prese intuitivamente e costruire l'analisi tralasciando i dati non opportuni e "arrotondando" quelli utili. Ma per le piccole imprese forse questo è un problema meno sentito.

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