La dott.sa Tarantola, Vice Direttore Generale della Banca d’Italia, ha tenuto un'audizione presso la Commissione X Attività produttive della Camera sul tema La revisione delle regole prudenziali: i possibili effetti su banche e imprese. Vi si afferma, in merito all'impatto delle nuove regole sulle PMI:
Anche per le banche italiane, soprattutto quelle di maggiore dimensione, l’impatto non sarà trascurabile. Esse mostrano attualmente livelli medi di patrimonializzazione meno elevati nel confronto internazionale, anche per effetto dei sostanziosi aiuti pubblici ricevuti da molte banche estere. Tuttavia, la qualità complessivamente buona del capitale, il basso grado di leva finanziaria e la prevalenza di un modello di business tradizionale, legato al finanziamento dell’economia reale, dovrebbero rendere meno oneroso l’allineamento ai nuovi requisiti. L’introduzione del leverage ratio e l’inasprimento delle ponderazioni per i rischi di mercato e di controparte riguardano soprattutto attività in titoli e in derivati, al centro della crisi finanziaria; penalizzeranno quindi in misura relativamente minore i modelli di business più orientati all’intermediazione tradizionale e ai comparti al dettaglio, caratteristici delle banche commerciali, rispetto a quelli più incentrati sulla finanza.[...]Mi trovo in sintonia con questa analisi: il problema non nasce dalle nuove regole, il cui impatto è fin troppo enfatizzato. Semmai il problema è la tenuta della qualità dei crediti che le banche hanno già a bilancio. Non se ne sente parlare spesso negli ultimi tempi. L'allarme credit crunch è coperto dal clamore dell'allarme occupazione e conflittualità, segno che molte situazioni di crisi non sono più contenibili con iniezioni di liquidità.
[Gli] elementi di debolezza della struttura finanziaria delle piccole imprese, che potrebbero incidere negativamente sulle condizioni di accesso al credito all’indomani dell’entrata in vigore delle nuove regole per le banche, non sono tuttavia sufficienti a delineare un quadro completo dei possibili effetti della riforma. Vanno infatti adeguatamente considerati diversi fattori che potrebbero attenuare l’impatto su queste imprese.
In primo luogo, è possibile stimare che le imprese con meno di 20 addetti2 sono finanziate in misura minore dalle banche più grandi e complesse che subiranno il maggiore impatto della riforma. La quota di credito concesso da questi intermediari alle piccole imprese è pari a circa il 45 per cento, contro un valore prossimo al 53 per cento per le imprese medio-grandi.
Inoltre, ma si tratta forse del fattore più significativo, va considerato che un buon numero di banche italiane di medie e piccole dimensioni è già oggi caratterizzato da livelli di patrimonio superiori a quelli richiesti dalle nuove regole. Questi intermediari hanno saputo assicurare anche durante la crisi un sostenuto flusso di credito all’economia. È verosimile che le piccole imprese potranno continuare a beneficiare del dinamismo di queste banche, che rappresentano un loro interlocutore naturale soprattutto per il radicamento nel territorio e la spiccata capacità di incorporare nel processo creditizio le informazioni qualitative sul merito di credito della clientela.
Occorre anche ricordare che il nuovo impianto regolamentare conferma integralmente i meccanismi previsti da Basilea 2 per contenere l’assorbimento patrimoniale dei prestiti alle piccole e medie imprese.
Moltiplichiamo la vigilanza e le iniziative, sull'uno e sull'altro fronte.
Luca
Molto interessante. Significativa anche l'analisi che viene fatta della centrale dei bilanci.
RispondiEliminaLa Tarantola dice "Il maggiore indebitamento delle piccole imprese si riflette in una più contenuta capacità di sostenerne gli oneri finanziari, che rappresentano oltre il 30 per cento del margine operativo lordo, contro valori compresi tra il 20 e il 25 per cento per le imprese più grandi. Le maggiori fragilità si concentrano nel settore delle costruzioni e in quello dei servizi."
Tre anni fa Visco, in data 22 ottobre presentava una relazione al Parlamento sulla lotta all'evasione fiscale nella quale, tra le altre cose, diceva "Il miglioramento della tax compliance appare particolarmente marcato in alcuni dei settori considerati a più alto rischio di evasione come quelli delle costruzioni, dei servizi immobiliari e del commercio."
Parrebbe che ci fosse una correlazione tra bilanci poco bancabili ed evasione fiscale, almeno in termini di settore. Non è che sostenendo le aziende (apparentemente) in difficoltà le banche sostengono l'economia in nero? Se fosse così c'è di che rifettere....