Come i teologi bizantini discutevano del sesso delle creature angeliche, così regolatori, economisti, lobbisti stanno discettando da mesi sulle linee di riforma del mercato dei derivati finanziari, divisi tra chi lo accusa di essere tra le cause della crisi del 2007-2008, e chi respinge l'offensiva luddista contro l'innovazione finanziaria. Questo articolo del Sole 24 ore parla del muro contro il quale si sono arrestati i provvedimenti di riforma negli USA, lasciando di fatti la situazione così com'era prima della crisi.
Non è facile venire a capo di questioni inestricabili come l'effetto sulla assunzione e sulla distribuzione del rischio nel sistema economico. Penso che la soluzione non sia soltanto di riorganizzazione del mercato (più regole, portare l'OTC sotto l'ombrello di sistemi di compensazione, penalizzare la speculazione "eccessiva", ecc.). Il problema è che con i derivati oggi l'elite del sistema bancario USA (e internazionale) ci fa una grossa parte dei profitti, che nei mercati più statici e meno concorrenziali del passato si facevano con pingui commissioni di mediazione e spread creditizi più larghi. Quei profitti li fa sfruttando il proprio market power, e nella crisi li ha fatti assumendo rischi che poi sono andati sul conto dei Governi e dei contribuenti, o ci potrebbero andare in futuro. Peggio ancora quando i profitti sono nati da prodotti complicati propinati con politiche commerciali irresponsabili, in piena coscienza della schifezza che si andava a vendere o dei rischi nascosti che restavano su qualche anello della catena. Su questi secondi aspetti "micro" Basilea 3 è intervenuta. Attaccare la macro-speculazione (tipicamente, giocare al ribasso sui CDS dei governi deboli) è più difficile, le accuse sono più vaghe e si rischia di bloccare un mercato che tiene in vita le finanze di mezzo mondo.
Io terrei distinte le due cose. Non blocchiamo l'operazione pulizia dei segmenti più opachi e pericolosi. Sugli aspetti macro servirebbe uno sforzo di ricerca più coraggioso, da parte di economisti finanziari che sulla fortuna di quei mercati hanno costruito il loro successo accademico.
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