Prepariamoci ad un'estate calda, e ad un settembre movimentato. La crisi dei debiti sovrani preme minacciosamente sulla stabilità dei mercati e dei sistemi bancari. La speculazione ha buon gioco in uno scenario di conflitti tra grandi debitori che cercano spazio nei portafogli di investitori disorientati.
Perché, è inutile nasconderselo, tutti dicono che la crisi è sistemica, ma ognuno cerca di risolverla per il proprio interesse e tanto peggio per gli altri: gli USA che vedono una possibile crisi dell'euro come una manna per piazzare il loro debito e allontanare l'Armageddon (parola di Obama); i paesi traballanti dell'Eurozona, che agitano la minaccia di default strategici per migliorare lo scambio tra sacrifici e aiuti; la Germania e la Francia, che vogliono incassare il dividendo della loro supposta virtuosità ed efficienza declinando l'invito a salvare la patria europea.
In questo bailamme, l'Italia è arrivata con numeri difendibili, ma con una politica stremata, che ha fatto il compitino ragionieristico della manovra (gran cosa, comunque), che non è bastato, e non poteva bastare contro le forze in campo.
Può essere che l'Europa trovi compattezza per un'azione finalmente concorde per affrontare la crisi delle finanze pubbliche, prima che i credit spread salgano oltre il punto di non ritorno. Occorre mettere in campo capitali enormi, e pilotare una ristrutturazione del debito paneuropeo di importo senza precedenti, dividendo il conto tra Governi, investitori, Banca Centrale Europea. Non è facile: troppi schematismi e veti incrociati si mettono di traverso a questa impresa titanica che non incoronerà nessun condottiero vittorioso.
Che fare sotto la cappa di incertezza che sembra chiudere l'orizzonte?
Per che cosa vale comunque la pena impegnarsi?
Non si può fare un passo senza porsi questa domanda.
Ci sono tante cose che dipendono dalla responsabilità di ciascuno di noi.
La politica stremata non ha le forze per rinnovarsi. Ma di rinnovamento c'è un bisogno vitale.
Nel nostro piccolo mondo, ci si deve preparare a ballare. La finanza d'impresa può reggere all'instabilità monetaria e alle crisi fiscali, ma deve trovare degli ancoraggi solidi. Oggi il finanziamento delle Pmi si basa sul credito domestico e sugli aiuti pubblici: il primo potrebbe contrarsi e diventare ancora più caro, i secondi come fanno a bastare? Azioni di policy e di lobbying concentrate esclusivamente sul rastrellamento di risorse pubbliche per agevolare il credito o le garanzie sono fuori del tempo, e più che mai a rischio di inefficienza.
Occorre battere strade nuove. Le nostre imprese più coraggiose lo stanno facendo, a casa loro e in giro per il mondo. Occorre pensare ad una finanza che le accompagni con una funzione di intelligence che oggi è insufficiente.
Il problema dell'Italia è dimostrare che non siamo bolliti. Molti, ahimè, lo sono, al governo e all'opposizione, tra chi tira a campare e chi si indigna.
Per battere strade nuove ci vogliono energie nuove. Largo ai coraggiosi.
PS: Segnalo questo articolo di Paolo Annoni sul sussidiario.net, dice cose che condivido in pieno.
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