Nel 1981, il Ministro del Tesoro Andreatta commissionò un Rapporto sul sistema creditizio e finanziario italiano a una Commissione di studio composta da Mario Monti (allora 38enne), Francesco Cesarini e Carlo Scognamiglio.
Tre accademici per ciascuna delle tre discipline coinvolte: economia monetaria, economia degli intermediari finanziari, finanza aziendale (collegata all'economia industriale). Il rapporto non è reperibile in pdf sulla rete (erano altri tempi) potete trovarlo nelle biblioteche universitarie. Ce ne sono due copie in vendita su eBay.
Mi permetto di suggerire al Coordinatore di quello studio, che ora è Capo del Governo e Ministro dell'Economia in carica, di dare l'input per una nuova edizione aggiornata del Rapporto. Nel Regno Unito una commissione indipendente sull'attività bancaria presieduta da Sir John Vicker's ha rilasciato nel settembre scorso il suo Final report. La crisi ha investito subito e in pieno il sistema creditizio e finanziario britannico, costringendo a ripensarlo dalle fondamenta.
In Italia non ce n'è stato bisogno, o almeno così pare. Nessuna corsa agli sportelli, nessun salvataggio, né nazionalizzazioni. E' meglio che sia andata così, fino ad oggi. Però oggi servirebbe una riflessione profonda sul sistema finanziario italiano, che ha retto, ma rischia di deperire per mancanza di idee e di energie.
I problemi strutturali sono tanti.
Prima di tutto, il Paese sta faticosamente ritrovando gli equilibri di finanza pubblica, ma è diventato e rimane dipendente dall'afflusso di capitali esteri. La BCE supplisce, per tre anni, ma si devono porre le condizioni per attrarre stabilmente gli investitori privati. Il debito pubblico lo sappiamo vendere bene, non altrettanto le partecipazioni in imprese.
C'è poi un sistema bancario da rivitalizzare. E' solido, ancora grazie alla BCE, ma ha bisogno di un potente vermifugo contro il deterioramento dei crediti e le inefficienze operative che lo debilitano, e poi di una formidabile cura ricostituente. Qualcosa deve cambiare se si vuole tornare a fare utili adeguati dando credito all'economia, o facilitandone il finanziamento in altre forme, tutelando il risparmio finanziario.
Per intervenire su questi nodi strutturali serve uno sforzo straordinario. Da queste ragioni nasce il mio invito al Presidente del Consiglio affinché nomini una task force indipendente per un nuovo studio -, approfondito, severo e coraggioso - sul sistema creditizio e finanziario italiano. Rispetto al Rapporto del 1981, c'è meno spazio per innovazioni e interventi strutturali o di contesto, come furono il superamento della specializzazione tra banche e istituti speciali, il divorzio tra Tesoro e Banca d'Italia, l'uscita del Pubblico dalla proprietà diretta delle banche, la liberalizzazione valutaria, l'apertura della Borsa alle SIM e alle banche, i fondi comuni di investimento e i fondi pensione.
Oggi la vera sfida è far funzionare i mercati che ci sono, farci operare meglio le banche, le imprese, le famiglie. Ci saranno innovazioni tecnologiche e distributive, e paradossalmente potrebbero servire per dare nuova vita a forme primordiali di intermediazione, come il credito di fornitura, o le partecipazioni in imprese non quotate. Le banche, e la rete di contatto che le assiste (mediatori, promotori, agenti, confidi, consulenti vari), dovranno essere premiate per la capacità di problem solving, non per innovazioni fasulle che sfruttano arbitraggi normativi e potere di mercato.
Serve un lavoro sui contenuti, non sui contenitori. Un lavoro che è prima di tutto culturale: immergersi nella realtà per comprenderla, e farsi carico responsabilmente dei suoi problemi. Un lavoro necessario per alzare il livello del dibattito al di sopra delle accuse reciproche, e il livello delle proposte sopra la richiesta di aiuto allo Stato.
Nel 1981 il Rapporto indicava i passi per superare la via finanziaria allo sviluppo (il sistema banco-centrico fondato sul credito speciale e agevolato). Nel 2012 la nuova edizione dovrebbe indicare gli svincoli per uscire dal raccordo anulare della stagnazione.
Se non facciamo funzionare meglio la finanza, pubblica e privata, il Paese rimarrà ingenuo, miope di fronte alle opportunità, lento nel difendersi dai rischi, incapace di grandi progetti e di azioni concordi. Su questi temi il Governo non ha fatto vedere novità vere, almeno finora.
Ha avuto tante questioni vertiginose di cui occuparsi, lo capisco. Ma occorre agire anche su questo fronte. Sarà un lavoro lunghissimo, per cui prima si comincia meglio è.
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