mercoledì 4 aprile 2012

Diritto fallimentare: riforma al tagliando

Come riferisce il Sole 24 ore, tra i provvedimenti allo studio del Governo ci sono alcune modifiche del diritto fallimentare, riformato nel 2008.
Tra i punti interessati:
  • l'introduzione di procedure di allerta, per segnalare tempestivamente le situazioni di difficoltà delle imprese in maniera da potere anticipare il "salvataggio" prima del (possibile) precipitare nell'insolvenza. Varie le ipotesi sul tappeto sulle quali si sta riflettendo: dal modello francese con l'intervento anticipato del pubblico ministero, a quello più privatistico (per esempio, misure da inserire nella nota integrativa di bilancio) con l'individuazione dei soggetti cui spetta l'iniziativa (tra le possibilità, l'Inps o gli organi deputati al controllo societario);
  • la previsione dell'irrinunciabilità dell'istanza di fallimento una volta che la stessa sia stata introdotta da uno dei creditori, dal debitore o dal Pm.
  • misure contro i passaggi di comodo della sede della società all'estero, con integrazione dell'articolo 9 della legge fallimentare, prevedendo l'irrilevanza del trasferimento della sede della società anche con riferimento alla giurisdizione;
  • la semplificazione delle forme di notificazione del decreto di apertura del procedimento per la dichiarazione di fallimento, ammettendo tra le possibilità di notifica anche quella attraverso la pec all'indirizzo elettronico dell'imprenditore indicato nel registro delle imprese;
  • lo sdoppiamento della relazione del curatore, con un primo documento sommario da depositare immediatamente e un secondo, più dettagliato e approfondito, da depositare entro un termine stabilito (60 giorni) dalla data di esecutività dello stato passivo.
Sono aggiustamenti tecnici e procedurali dell'attuale normativa. Il punto più rilevante è il primo, che però non mi sembra affrontato nel modo più efficace. Notizie sulle difficoltà di un'azienda circolano nel sistema attraverso il canale bancario (prima di tutto) e le performance di pagamento dei fornitori, dei dipendenti e degli enti fiscali e previdenziali. Ci sono sistemi di informazione creditizia e di rating interno delle banche. Non penso che serva un ulteriore meccanismo di graduazione e  pubblicità delle situazioni di disagio, tanto meno se gestito con logiche amministrative. Il vero cambiamento sarebbe introdurre nel sistema di relazioni tra aziende e aziende, aziende e banche, aziende e consulenti, gli incentivi a comportamenti razionali e corretti all'insorgere della crisi aziendale. E questo può avvenire soltanto se si colmano dei vuoti di competenze, strumenti finanziari, sistemi di valori condivisi.

3 commenti:

  1. Sono d'accordo con te. I sistemi di allarme e prevenzione, di dirigistica origine francese, vennero gia' discussi (e poi abbandonati) in sede di progetto di riforma della legge fallimentare in seno alla Commissione Trevisanato. In primo luogo dare pubblica enfasi alla crisi e' molto pericoloso perche':
    1) introduce elementi di discrezionalità pericolosa. Un conto e' essere in crisi, un conto e' essere insolventi;

    2) rischia di essere una profezia autorivelantesi. Se si pubblicizza la crisi si rischia proprio di spingere l'impresa nell'insolvenza

    3) i bilanci di esercizio vengono pubblicati dopo 4 mesi almeno... dalla fine dell'anno a cui pertengono.

    4) E' noto che in tempo di crisi, i "fornitori" che vengono pagati più tardi sono Inps e Fisco (soprattutto Fisco). Quello stesso fisco che però non paga le aziende.

    Si deve invece tornare a un concordato preventivo serio.
    Saluti,
    Jaures

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  2. Giusto, Jaurès. Mi preoccupa l'approccio prevalentemente giuridico alla gestione delle crisi. Servirebbe un contorno di assistenza tecnica, gestionale, psicologica, e anche legale, rivolta alle imprese.

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  3. Se l'ipotesi di procedura di allerta consistesse nella possibilità di avere una moratoria di 6 mesi/un anno per elaborare un piano serio, sarei favorevole.

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