Questo articolo di Ferruccio De Bortoli sul Corriere di ieri merita una ripresa integrale:
Le buone ragioni degli indipendentiTanti suggerimenti concreti, e anche i confidi sono una parte delle soluzioni. Di Dario Di Vico, citato da De Bortoli, leggete questa cronaca di un'assemblea di "imprese che resistono" nel Varesotto. Fa capire che bisogna cambiare marcia, altrimenti addio coesione sociale.
C'è una generazione di produttori che merita di essere ascoltata con attenzione. Sono le piccole imprese e i professionisti di questo Paese. L' architrave di passioni e competenze che regge alla base il sistema economico; la miriade di cellule sociali che innerva la comunità civile. Autonomi, indipendenti. Ma anche invisibili. E spesso trattati male, come documentano le inchieste di Dario Di Vico. Se la ripresa è imminente, li vedrà in prima fila. Il rischio, però, è che molti, pur scorgendo nella loro attività segni di fiducia, alla fine del tunnel non ci arrivino nemmeno. Un milione di piccole imprese, dell'industria, del commercio e dell'artigianato e 300 mila professionisti sono in pericolo. È urgente un segnale. Concreto. Bisogna cogliere gli umori di questa vitale generazione pro-pro (produttori e professionisti); riconoscerne la dignità, la funzione sociale, l' insostituibile ruolo civico. Le idee ci sono. L' occasione immediata anche: la discussione sulla Finanziaria. L'economia italiana non è fatta solo di grandi imprese e superbanche. Il piccolo non è un' anomalia ma una risorsa. Purtroppo limitata. E fragile. Non gode, salvo rari casi, di incentivi. In banca è un cliente guardato più con sospetto che con riguardo. La moratoria sui debiti, buona cosa, l' ha solo sfiorato. Non ha l' accesso al credito della grande industria, la quale, quando è fornitore, gli ritarda, al pari dello Stato, i pagamenti. Se chiudono cento piccole imprese, negozi o studi, il danno sociale è persino superiore a quello della crisi di una fabbrica importante. Ma nessuno se ne accorge. Gli ammortizzatori? Ampliati ma insufficienti o inesistenti (per i professionisti). Dunque, che fare? Approvare, per esempio, la proposta di uno statuto delle imprese avanzata da Raffaello Vignali, vicepresidente della Commissione Attività Produttive della Camera, che ha già 120 firme bipartisan e si aggiunge al pacchetto delle semplificazioni collegato alla Finanziaria. Basta con la giungla di autorizzazioni e permessi. E ancora: perché non pensare a un' unica comunicazione (telematica) sull' avvio delle attività, fatta solo alle Camere di Commercio, e all' autocertificazione privata sostitutiva? No a tanti controlli fatti da troppi enti. Una sola verifica può bastare. La burocrazia pesa sulle aziende per l' uno per cento del Pil: 15 miliardi. Sul piano fiscale, la riduzione dell' Irap dovrebbe partire da una franchigia che favorisca i piccoli o dalla maggiore deducibilità degli interessi passivi. È da rafforzare la struttura dei Confidi, migliorando le garanzie delle imprese minori, ma soprattutto va eliminato il sovrapprezzo fiscale dell' indebitamento. La Tremonti ter (detassazione degli acquisti di macchinari) dovrebbe comprendere anche gli investimenti in tecnologia, altri beni strumentali, formazione, migliorie dei pubblici esercizi ed essere estesa agli studi professionali. In tema di giustizia, se solo si allargasse ulteriormente la mediazione obbligatoria, già in parte lanciata dal governo, coinvolgendo le varie categorie professionali, si abbatterebbe una quantità di cause civili inutili. Sono solo alcune delle misure che potrebbero trovare un appoggio trasversale. Molte non hanno nemmeno un costo. Non farle, o ritardarle ancora, darebbe la sensazione a chi ogni giorno s' inventa il proprio futuro che il Paese premia di più i furbi, i protetti e gli arroganti.
Luca
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