lunedì 15 novembre 2010

Di fondazioni, banche e territori



Segnalo due articoli che mi hanno fatto riflettere oggi sul futuro delle banche italiane. Il primo, di Giovanni Pons, è uscito su Repubblica-Affari & finanza titola "Unicredit, tolta la diga Profumo le fondazioni vogliono tutto". Il secondo, di Gianni Credit (firma del Sussidiario.net), ragiona delle "nuove banche che piacciono alla Lega".
Le tesi e i toni dei due articoli sono dissonanti, ma la questione posta è la medesima: quella dei soggetti "pubblici" che vogliono contare di più nelle banche, e che vogliono banche più funzionali agli interessi economici dei territori. Secondo Pons, nel caso di Unicredit le fondazioni azioniste premono per spostare il focus strategico sull'Italia e sull'attività di local banking, a scapito della presenza internazionale e dell'investment banking. La Lega Nord, sottolinea l'altro articolo, rivendica competenze regionali in materia di credito e questo disegno si salda con i progetti di ispirazione governativa (nuova Cassa DD.PP., Banca del Sud) tesi a rinsaldare alleanze tra i soggetti pubblici, le fondazioni e comparti del sistema bancario (come il credito cooperativo) non contendibili dal mercato finanziario.
Non voglio allargare il dibattito a temi troppo vasti per aleablog, che lascio ad arene più qualificate. Mi limito ad osservare alcune cose:
  • il modello italiano di banca territoriale ha retto meglio alla prima ondata della crisi, perché ha tenuto lontani i rischi; ora mostra segni di affaticamento; è un modello che deve essere aggiornato, e deve fare i conti con l'imperativo dell'internazionalizzazione;
  • che i governi (al centro e nelle regioni) vogliano leve importanti per muovere il credito non è in sé sbagliato; il buon uso di queste leve richiede però intelligenza tecnica dei banchieri "pubblici" e autolimitazione degli interessi di breve dei politici; mi chiedo se ci sono nella quantità e qualità necessarie;
  • le banche pubbliche, in senso lato, vivono di una dotazione di capitale ereditata dal passato, e della capacità di alimentarla principalmente con gli utili non distribuiti; se questa non basta deve intervenire lo Stato, o si è costretti a vendere sul mercato finanziario; nei disegni di consolidamento domestico e collegamento organico con le politiche di sviluppo territoriale si dà per scontato che il patrimonio sia un pozzo di san Patrizio, ma in realtà è un serbatoio che deve ogni tanto essere riempito per non restare a piedi.
Toccare le banche significa mettere in moto impatti pluridecennali. Temo che la generazione che sta pensando questo ridisegno, si curi soltanto dei risultati che vedrà lei. Lo si potrebbe dire di tante cose che si fanno e non si fanno in Italia.

Luca

3 commenti:

  1. "5.- Accentramento del credito in mano dello Stato mediante una banca nazionale con capitale dello Stato e monopolio esclusivo"
    Marx & Engels, Il manifesto del partito comunista, 1848, cap. 2
    evviva evviva, finalmente la dittatura del proletariato in salsa leghista......
    Almeno nelle banche potremo riciclare le splendide tutine cinesi a cui tanto ci eravamo affezionati da piccoli (quando Craxi nei mitici anni '80 ci fece conoscere la Cina da vicino oltre che i cognati) e che adesso neanche nell'Assemblea Nazionale del Popolo si vedono più. Forse Profumo l'hanno mandato via per questo, non c'erano tutine per lui, grande com'era (nel senso di alto).

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  2. Il Trota o chi per lui al vertice di qualche Banca è un'ipotesi tragicomica. I cosiddetti banchieri pubblici equivalgono all'ennesimo assalto alla diligenza della nostra "illuminata" classe politica. Forse hanno pensato che siccome grazie a loro non c'è più un euro nelle casse dello Stato si cambia direzione e si aprono i forzieri delle Banche.

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  3. @ excelsus: ...magari passando prima dai confidi..... ; e sempre sperando di trovare euri e non buchi....

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