Repubblica-Affari&Finanza parla oggi delle imprese italiane che si trasferiscono in Ticino (le lombarde) o in Carinzia (le nordestine). Quelle regioni, già favorite da bassa fiscalità, stabilità sociale, infrastrutture e servizi efficienti, stanno lusingando le imprese estere con esenzioni fiscali e previdenziali molto aggressive.
E le imprese italiane cedono al fascino, o piuttosto cercano rifugio dai mille impedimenti che ostacolano il fare impresa in Italia. Anche nel mio entourage personale ne conosco diverse. E non parliamo solo del quartier generale della società, spesso trasmigrano anche attività ad alto impiego di lavoro, nella manifattura e nei servizi. Si tratta di una delocalizzazione meno appariscente di quella verso i paesi a basso costo del lavoro, ma per certi aspetti è più pericolosa. In alcuni casi patologici l'imprenditore se ne va per sottrarsi allo strascico legale di una crisi aziendale, ma in molti altri fugge da un ambiente dove troppe cose costano di più, non si trovano o non funzionano.
Onore al merito delle imprese che rimangono in Italia, grazie alla capacità miracolosa di fare cose da sole. Ma se non facciamo un triplo salto in avanti nella capacità di fare cose insieme, imprese con imprese, e imprese con enti pubblici, siamo condannati ad impoverirci, economicamente e umanamente.
Dal mio osservatorio di cose creditizie, professionali e informatiche, la capacità di fare cose insieme soffre di una mancanza di vigore e di responsabilità che è prima di tutto nella testa e nel cuore delle persone che contano.
Deve succedere un disastro per darci la sveglia?
Luca
Amare parole che condivido in toto. Per capire dove va l'Italia basta vedere chi viene e chi va e chi non si è mai mosso:
RispondiEliminaVanno i cervelli, va il capitale, vanno le imprese.
Vengono i disperati (da noi si sta, ancora per un po', comunque meglio), i poveri, i rapinatori ed i ladri.
Restano i disoccupati, i politici (sempre gli stessi), le immondizie e le case terremotate del Belice e dell'Aquila.
Dove abito io c'è Via Damiano Chiesa, Via Fabio Filzi, Via Nazario Sauro, Via Francesco Baracca. Poco lontano Via Giacomo Matteotti: tutta gente che ha dato la vita per questa Italia. Quando passo di lì mi vergogno nei loro confronti per le nostre contemporanee classi digerenti (ops... dirigenti, scusate). Dov'è l'onore, dov'è?
Dov'è la vergogna? Fra cento anni questo periodo passerà alla storia come "un periodo di diffusa corruzione e malcostume che portò l'Italia alla rovina. Alla fine venne annessa all'Albania".
@Gigi: non ti facevo così patriottico ...
RispondiEliminaIn parte hai ragione, però io temo la paura e la negligenza più della disonestà e della mancanza di etica. Le seconde sono figlie delle prime, cioè di un deficit di umanità viva. Se qualcuno si muove con una tensione positiva, allora alcuni potranno cercare di neutralizzarlo, però molti altri gli andranno dietro.
A volte temo che anche l'opposizione e la critica facciano troppo leva sull'indignazione o sul sentimentalismo perché mediaticamente rendono di più. Ma dove portano?
L'unica cosa che ha senso è prendersi carico dei problemi, insegnare e imparare lavorandoci sopra. Non è vero che non si può o non serve perché le classi dirigenti sono ignave e decadenti. E' l'unica via per sostituirle in corsa o almeno dargli la sveglia.
La Patria è la terra dei nostri padri....E' doveroso almeno provarci a salvarla per consegnarla migliore ai nostri figli. Questi che sono al potere ora non hanno né padri né figli: solo tubi digerenti (e qualcos'altro un po' più in basso).
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