Oggi Repubblica racconta delle attività cedute a imprenditori cinesi da commercianti, parrucchieri e ristoratori italiani che non se la sentono più di stare sul mercato.
La globalizzazione arriva anche nel carrello della spesa o sul bancone del bar. La spesa per consumi cerca i canali con prezzi più bassi, maggior assortimento, ambienti più accattivanti. Da profano, penso che ci vorrebbe uno sforzo titanico di innovazione e riorganizzazione tra i negozi, i bar, gli alberghi a gestione familiare. Con una giusta miscela tra liberalizzazione, semplificazione amministrativa, aiuti pubblici, servizi di rete, possono tornare competitivi rispetto alle grandi catene (Starbucks non è venuto da noi), ma non basta tirare avanti come si è sempre fatto, finché ce la si fa. E invece ho paura che non si farà molto.
Queste difficoltà impattano sulla qualità del credito. Un amico di un piccolo confidi del terziario in Italia centrale racconta di insolvenze mai viste in 20 anni di lavoro. Temo che andrà avanti così per diversi mesi. Con questa crisi endemica, il credito è una cura palliativa, può soltanto rinviare la chiusura di un'attività.
Per combattere questa ed altre situazioni incagliate che gravano sulla nostra economia non so davvero da dove cominciare. So soltanto che guardare rassegnati è un'angoscia.
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