sabato 3 marzo 2012

Emendamento zero commissioni: il vertice ABI si dimette. Anche il mercato?

Come racconta questo articolo del Corriere, l'Associazione Bancaria Italiana ha reagito clamorosamente all'emendamento del decreto liberalizzazioni che azzera le commissioni di ogni genere sulle linee di credito bancarie. Il Presidente Mussari e il Comitato direttivo si sono dimessi in segno di protesta. Ecco il testo incriminato dell'articolo 27-bis, come riportato dal Corriere:

«Sono nulle tutte le clausole comunque denominate che prevedono commissioni a favore delle banche a fronte della concessione di linee di credito, della loro messa a disposizione, del loro mantenimento in essere, del loro utilizzo anche nel caso di sconfinamenti in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido. La norma si applica alle banche che non si adeguano alle norme sulla trasparenza ai sensi della delibera del Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio, adottata ai sensi dell' art. 117/bis del Codice bancario»
Questo il testo della prima formulazione dell'emendamento. La frase finale (in corsivo qui sopra) è stata rimossa dal testo approvato (vedi versione sul sito del Senato).
Confindustria ha espresso solidarietà all'ABI, temendo effetti non trasparenti sul livello dei tassi di interesse. Gli artigiani di CNA hanno invece apprezzato la norma.
Il fatto è preoccupante. Rivela un disagio profondo nei rapporti tra le banche e i loro clienti, un disagio sfruttato e amplificato dalla politica.
Nessuno pare fidarsi del buon funzionamento del mercato bancario. Un mercato che funziona dovrebbe soddisfare i bisogni dell'economia reale con servizi di pagamento, strumenti di raccolta e di finanziamento, offerti a condizioni accessibili e competitive. Invece no, secondo i loro numerosi accusatori, le banche chiudono i rubinetti del credito, ritoccano all'insù gli spread creditizi, applicano commissioni e balzelli arbitrari ed esosi. Di qui la necessità di intervenire con blocchi amministrativi dei prezzi. E' davvero così?
L'emendamento zero-commissioni non ha nessuna logica economica. Se scelgo una linea di credito, e non un prestito ad ammortamento prefissato, vuol dire che mi serve una flessibilità finanziaria. E' un optional (letteralmente, un'opzione finanziaria) che si paga. Se non esistessero le aperture di credito, le imprese dovrebbero tenere scorte di cassa in eccesso, chiaramente ad un costo (opportunità) sulla parte non utilizzata.
L'articolo 27-bis non era nato monco, la frase finale semplicemente puniva le banche che caricano costi non pubblicizzati nei documenti trasparenza. Il legislatore che ha dato il colpo di forbice probabilmente ha provato l'ebbrezza dei popolani del Manzoni all'assalto dei forni. Tutto gratis! Folla in delirio.
Ma siccome ho stima dei legislatori, cerco di capire le ragioni di questa scelta di pancia.
Sono tanti ad avercela con le banche. Sono additate come prime responsabili della crisi a livello mondiale. Quelle italiane non hanno colpe dirette, però anche loro sono accusate di ricevere aiuti pubblici senza girarne i benefici al resto dell'economia: è il mantra del "governo dei banchieri".
Molti accusano le banche di aver fatto scardinare dal precedente governo i limiti anti-usura (vedi post del maggio 2011). Le banche se ne sarebbero approfittate, calcando la mano sui tassi. Sarebbe rimasta inefficace la soppressione (disposta ope legis nel 2009) della Commissione di massimo scoperto (vedi indagine della Banca d'Italia).
Prima della crisi, quando il credito era abbondante e l'economia tirava, le banche quotavano spread "sottocosto" a gran parte della clientela. E' impopolare dirlo oggi, ma era così. Alcune banche si rifacevano sulle componenti accessorie del costo del credito (e di altri servizi bancari).
Quando la crisi del debito pubblico ha dato una scossa al costo della provvista, si è dovuto correre ai ripari e il listino tassi ha fatto un salto all'insù.  Non si vede ancora l'effetto sui tassi medi applicati, che risentono di condizioni nate prima della crisi o nei primi mesi post-crisi.
Dall'avvento dei Due Marî (Monti e Draghi) il quadro si è rasserenato. L'incertezza rimane alta. Nel 2012 il margine d'interesse delle banche italiane andrà meglio, un po' meno bene le rettifiche su crediti. Come nel resto del mondo, l'equilibrio gestionale delle banche è alla ricerca di nuovi punti di ancoraggio. Nel dubbio, si accumulano riserve strategiche, di liquidità e di patrimonio. Anche se la situazione (come spero) si assesterà, proseguirà l'ascesa dei tassi medi sul credito, e le punte di maggior rischio saranno tagliate col razionamento.
Può accadere che alcune banche (o filiali di banche) si stiano comportando male. Non è un motivo per intervenire d'autorità su tutto il sistema, per supplire a un mercato del credito che non funziona. E' giusto denunciare l'indifferenza e i favoritismi (lo sta facendo il quotidiano di Confindustria). Allo stesso modo bisogna scoprire e portare ad esempio i comportamenti virtuosi. Invece prevalgono il sospetto e la sfiducia.
C'è però un altra implicazione, che tocca i confidi. Se nei rapporti tra banche e imprese prevale il disagio, vuole dire che gli agenti di collegamento tra i due mondi fanno poco. Quali agenti? I confidi, naturalmente, e con loro gli sportelli credito delle Associazioni, i mediatori creditizi, i commercialisti e le altre società di consulenza finanziaria. Un mercato non trasparente è una manna per questi soggetti, perché aumenta il rischio di "maltrattamento" del cliente non accompagnato. Conoscere i direttori di filiale, pre-istruire le pratiche, scegliere oculatamente le condizioni migliori (magari con agevolazioni pubbliche o garanzie) fa la differenza, e giustifica la parcella, più o meno salata.
C'è il pericolo che questi agenti si scavino le loro nicchie ecologiche al riparo dell'inefficienza del mercato. E soprattutto, rischia di scomparire l'incentivo a far funzionare meglio la finanza dell'impresa.
Noto un sovraffollamento dell'offerta di servizi semplici, in cui l'agente raccoglie e trasmette informazioni aziendali alla banca, e cura la relazione.
Un'azienda paga il commercialista che estrae il bilancio provvisorio, il mediatore che lo elabora con un sistema di scoring, il confidi che lo ri-elabora e dà la garanzia, la banca che lo ri-ri-elabora e (finalmente) concede il credito. La filiera si mangia una bella fetta degli aiuti pubblici che supportano l'investimento, il credito, o la garanzia.
Se la contabilità aziendale (in senso lato) fosse organizzata meglio, quei dati potrebbero arrivare in banca senza necessità di doppi e tripli passaggi.
Servizi semplici si applicano a casi semplici: possono interessare imprese "bancabili" che non presentano criticità, negative o positive. Vanno bene per aziende in bonis o al massimo in osservazione, conosciute dalla banca. Non servono per trattare posizioni incagliate o già in sofferenza, o per imprese nuove o innovative. Gli agenti di cui sopra cercano di stare alla larga dalle gatte da pelare, che esigono tanto lavoro (e professionalità rare) per risultati incerti.
Così facendo, rischiamo esuberi crescenti di personale su attività a basso valore aggiunto con clientela che potrebbe farne a meno.
Resta un vuoto nell'offerta di servizi per le situazioni critiche, o nuove, proprio là dove si potrebbe creare maggior valore grazie alla conoscenza più profonda dei problemi (complicati)  e al giudizio più saggio sulle decisioni da prendere, insieme con la banca, i creditori, i soci, ecc. Qui il fattore decisivo sono le persone. Il sistema attuale non forma persone competenti per queste attività complesse, piuttosto tutela i portatori di competenze mature.
E' un peccato, perché in una situazione di crisi la gestione delle situazioni critiche deve essere una cosa "normale". I "normali" gestori e facilitatori dell'accesso al credito (consulenti, mediatori, confidi, banche) devono farsene carico. Serve prima di tutto un salto culturale: chi opera deve imparare cose nuove, soprattuto deve prendersi carico di uno spettro più ampio di problemi. Ma se cambiano cultura e approccio ai problemi, deve cambiare anche la struttura dell'offerta. Oggi è troppo frammentata, piena di sovrapposizioni. Lasciata a se stessa, potrebbe peggiorare, con l'esubero che c'è di figure non specializzate (anche in banca) ricollocabili su "ruoli di relazione". Una filiera del genere sopravvive solo con sussidi pubblici, o rendite pagate dai clienti delle banche.
Nello scenario di oggi, una filiera riorganizzata di consulenza-garanzia-credito nel senso di una maggior efficienza da integrazione potrebbe fare sfracelli, in senso buono. Aspettiamo un imprenditore genuino che colga l'occasione.

PS 6 marzo: dal Sole 24 ore un aggiornamento sulle reazioni alle dimissioni dei vertici ABI; se ho capito bene c'è un confronto in atto tra il Parlamento (che vuole introdurre regole di trasparenza più stringenti sulle commissioni) e le banche; l'emendamento zero-commissioni sarebbe un modo per forzare l'introduzione delle nuove regole. E' grottesco il commento raccolto da alcuni parlamentari: l'emendamento non ha senso, ma ormai è andata così. Faremo un ddl per rimediare.

4 commenti:

  1. Esisteva una volta la Commissione di massimo scoperto.
    Tutte le banche la applicavano, i forti riuscivano a non farsela applicare.
    Poi venne Tremonti che la abolì: non si capiva l'esigenza di quella commissione e di quel modo di calcolarla.
    Non l'avesse mai fatto: essendo la legge mal fatta colpiva il nome di una commissione e non il concetto.
    Nacquero commissioni con vari nomi: Disponibilità fondi, concessione fido, sconfino.
    Mi pare evidente che sia stato aggirato lo spirtito della legge.
    Se fosse un fatto fiscale si chiamerebbe elusione.
    Ma di più. Il combinato disposto di queste commissioni, sopratutto in casi patologici di sconfino sistematico, realizzano onerosità addirittura usuraie dell'affidamento.
    E una totale mancanza di trasparenza.
    Ma quale è il problema a dire che lo scoperto costa l'x% tutto incluso con penale di y% per la parte in sconfino piuttosto che x-2% di tasso più n% di disponibilità fondi, m% di commissione fido e i% di sconfino (magari per oghi giorno e senza limite)?
    Nel giro di pochi mesi il tasso medio ai fini dell'antiusura si assesterebbe su nuovi valori e le banche eviterebbero anche il rischio di essere denunciate per usura.
    Si, perchè il sistema di calcolo del tasso ai fini dell'usura è diverso nei modi previsti da BI e dalla legge 108/96 che dice "Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito."
    Il rischio attuale per le banche è quindi, in taluni o molti casi, la condanna per usura.
    Forse questo governo di "banchieri" certe cose le capisce bene e le vuole affrontare alla radice.

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  2. La commissione per disponibilità fondi deriva direttamente da Basilea2. Infatti il K o capitale da detenere a presidio della perdita inattesa e la stessa perdita attesa dipendono dall' EAD che non è l'utilizzato ma qualcosa fra l'utilizzato e l'accordato (alias disponibilità fondi). Per cui chiamiamola come vogliamo ma non togliamola perché sarebbe ingiusto.

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  3. Sapio, abbia pazienza, ho riletto più volte il suo post ed ho solo intuito cosa voleva dire.
    Visto che non siamo tutti tecnici in questo blog dovrebbe usare la cortesia di far capire anche noi, che siamo ben lieti di imparare.

    Riesco solo a desumere che concorda con me se non per questa specifica commissione.

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  4. Concordo con lei. Le banche debbono curare di più la trasparenza. A parte questo sono contario per principio alla legge antiusura che invece, secondo me, favorisce l'usura alla quale fornisce come clienti i più deboli, rifiutati dalle banche in virtù del tetto. Non ci devono essere tetti, le attività di recupero giudiziario debbono essere più veloci per togliere acqua agli usurai.

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