venerdì 13 aprile 2012

LUISS: il VI Rapporto "Generare classe dirigente" sul futuro delle associazioni di rappresentanza

Il VI Rapporto Generare classe dirigente  (qui la sintesi) è il frutto di un'indagine promossa da Fondirigenti e LUISS, presentata il 5 aprile a Roma. Ho sentito una forte sintonia con i giudizi espressi da uno degli autori, Carlo Trigilia (ordinario di sociologia economica a Firenze) nel capitolo 3 del rapporto, La rappresentanza degli interessi e la crescita in Italia. Dalla redistribuzione   all’innovazione? da lui curato. Del Rapporto si è discusso in questa trasmissione di Oscar Giannino.

Cito dalla sintesi del rapporto i punti salienti dell'analisi di Trigilia:
Nonostante non pochi economisti ritengano il sistema di rappresentanza degli interessi economici un ostacolo al funzionamento ritenuto come ‘naturale’ dei mercati, Carlo Trigilia assume l’esistenza di quei sistemi come una caratteristica fondamentale e necessaria delle moderne democrazie di mercato. [...] vi sono Paesi con alti tassi di crescita economica (si pensi alla Germania o alle democrazie scandinave) che pure sono connotati da forti, radicate ed influenti strutture di rappresentanza degli interessi economici. Il problema, insomma, è molto più complesso. Le strutture di rappresentanza degli interessi si sono dimostrate di ostacolo alla crescita quando non sono state in grado di internalizzare, nella loro organizzazione, i vantaggi che provengono dal perseguire comportamenti e strategie responsabili. E ciò, secondo la teoria da tempo elaborata da un economista come Mancur Olson, tende ad avvenire quando gli interessi funzionali sono frammentati e organizzati in associazioni in reciproca competizione.
Il sistema di rappresentanza (sindacale e datoriale) in Italia è uno dei più frammentati del mondo, eredità delle contrapposizioni politiche della Guerra Fredda.
L’Italia ha finito, così, per dotarsi di un sistema di rappresentanza degli interessi frammentato, predisposto al conflitto, poco responsabilizzato verso le prospettive generali. Allo stesso tempo, non si tratta di un sistema debole, anzi sul piano rappresentativo e organizzativo può essere considerato tra i sistemi europei più significativi, in quanto costituito da organizzazioni forti sul piano del numero dei rappresentati e della stabilità elle strutture.
Tuttavia, questo sistema non è riuscito a fare i conti con gli effetti dell’integrazione monetaria e della europeizzazione delle principali politiche pubbliche. Più in generale, l’internazionalizzazione ha accentuato le differenziazioni all’interno delle imprese (tra quelle esposte alla concorrenza nazionale e quelle protette), ha messo alla prova i sistemi pubblici centrali e territoriali (tra quelli in grado di favorire infrastrutture e servizi efficienti e quelli invece bloccati da routines e patronages del secolo scorso) ed ha sfidata la capacità di innovazione e di flessibilità dell’intero sistema produttivo. Si è trattato di una scossa che ha finito per mettere in discussione le stesse grandi organizzazioni degli interessi economici, schiacciate tra l’insoddisfazione dei loro iscritti e la debolezza del sistema delle decisioni pubbliche. In alcuni casi ciò ha portato a nuove e positive aggregazioni, in altri casi a nuove e laceranti divisioni. È in questo contesto che va ripensata la struttura della rappresentanza rispetto all’obiettivo di renderla congeniale con le esigenze della crescita.
Carlo Trigilia prevede due scenari principali (ho sottolineato il passaggio che condivido di più).
Il primo scenario è quello di una continuità razionalizzata delle attuali strutture neo-pluraliste. La crisi finanziaria e il vincolo esterno sulla spesa pubblica potrebbero favorire alcune basilari processi di aggregazione, senza tuttavia che essi giungano a mettere in discussione l’attuale struttura di rappresentanza degli interessi (e di consolidamento dei poteri interni agli interessi organizzati). Insomma, la disaggregazione particolaristica potrebbe essere ridimensionata e razionalizzata, ma non superata da una diversa struttura organizzativa e culturale. 
Il secondo scenario è invece quello di una riformulazione significativa della rappresentanza degli interessi funzionali. La crisi finanziaria ha assunto tali caratteristiche che la continuità, seppure razionalizzata, della vecchia struttura di rappresentanza e intermediazione non appare più giustificabile. Sotto la pressione esterna e grazie a cambiamenti (generazionali, culturali o di paradigma) interni alle organizzazioni, potrebbe attivare inediti processi di ridefinizione sostanziale dei ruoli delle organizzazioni di interesse, nella direzione della formazione di un sistema di governance responsabile.
[...] Insomma, una riforma della governance è necessaria per passare da una politica pubblica chiusa su uno schema di redistribuzione di risorse sempre più scarse ad una politica pubblica aperta agli investimenti sulle infrastrutture materiali e immateriali, sulla ricerca, sulla formazione del capitale tecnico e sociale, sulla riqualificazione dei servizi e delle strutture pubbliche. Insomma, senza una revisione della nostra struttura di rappresentanza degli interessi, è molto più difficile che il Paese riesca a creare, attraverso riforme strutturali e innovazione tecnologico-sociale, le condizioni per ricominciare a crescere. 
Cerco di applicare queste chiavi di lettura alla mia conoscenza diretta del mondo associativo attraverso i confidi e le strutture di servizio alle imprese. La frammentazione e la resistenza al cambiamento sono un dato di fatto. La crisi finanziaria ha dato più di una scossa, ma non ha innescato i cambiamenti virtuosi (generazionali, culturali o di paradigma) auspicati da Trigilia. Ha più facilmente fornito nuovi argomenti per difendere interessi e posizioni particolari e pre-costituiti, comprimendo i tassi di innovazione, di apertura culturale, di ricambio generazionale.
Da settimane mi domando che cosa si può fare per sbloccare questa situazione, che forse si produce per inerzia, al di là delle intenzioni dei moltissimi soggetti che operano nel mondo della rappresentanza. Non penso che si debba partire da grandi disegni strategici.
Serve il coraggio di interrogarsi sull'utilità effettiva di quello che si fa per le imprese. Si può fare di più? Si può farlo meglio? E' una domanda che chiama in causa le singole persone.
Dal basso (dalle imprese associate e dalle strutture locali) potranno arrivare salutari scosse per riformare la governance.
Il prof. Trigilia fornisce un lessico garbato per sollecitare la riforma: non un grezzo "basta tirare a campare facendo i cavoli propri!", ma un raffinato "abbiate il coraggio di andare oltre la mera razionalizzazione delle attuali strutture neo-pluraliste!".
Sul piano affabulatorio i sociologi sono imbattibili. Quando, seguendo il loro invito, vi servirà una mano per fare cose concrete, noi ragionieri siamo qua.

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