Cari amici, sono stato a Milano ieri e l'altro ieri per partecipare al convegno "Confidi, quale futuro?", e all'incontro preliminare tenutosi il giorno prima. Il convegno ruotava attorno alla presentazione del libro Il sistema dei Confidi in Italia. Efficienza, sostenibilità
e intervento pubblico, a cura di Marco Nicolai, Maggioli Editore.
Ci sono tantissime cose da dire, sul libro e sul convegno. Non ho il tempo per scriverle tutte, magari i promotori e i relatori possono aggiungere qualcosa nei commenti, se sono registrati come utenti Google (ho bloccato i commenti anonimi).
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Gli atti del convegno sono scaricabili qui dal sito di Gruppo ImpresaCominciamo dal libro. E' l'ultima fatica dell'Osservatorio sui confidi che Marco Nicolai ha promosso quando era Direttore in Finlombarda, coinvolgendo un gruppo di colleghe dell'Università di Torino (la coordinatrice Paola De Vincentiis, con Eleonora Isaia, Patrizia Pia e Cristina Rovera). Il precedente volume era uscito per Bancaria editrice nel maggio 2012. Per questa nuova fatica si sono aggiunti alla band Marco Bortoli della società Gruppo Impresa (specializzata nella consulenza per la finanza agevolata), oltre a Francesca Bartoli e Zeno Rotondi dello staff Italy Research del gruppo Unicredit.
Inoltre è disponibile on line rassegna stampa dell’evento:
Il gruppo delle colleghe torinesi, rappresentato al Convegno da Paola De Vincentiis, ha analizzato i dati di bilancio di un campione di confidi 106 e 107, integrati dalle risposte a un questionario. Gli ultimi bilanci trattati sono quelli del 2011 (i dati 2012 sono stati già elaborati e presentati al Convegno nelle slide, che aspettiamo).
Hanno risposto 55 confidi 106 (su 372 "attivi") e 23 confidi 107 (su 54 iscritti alla data della rilevazione). Si tratta pertanto di un campione parziale, anche per il 107, e le rilevazioni presentano molte zone d'ombra (ben evidenziate nella premessa metodologica), specialmente per i 106 più piccoli. Ciò nonostante, dall'analisi emergono molti spunti interessanti. Il punto critico è la redditività. I 107 percepiscono ricavi caratteristici (commissioni di garanzia) di poco superiori alle spese amministrative, quindi del tutto inadeguati ad assorbire le rettifiche per deterioramento delle garanzie che rimangono su livelli abnormi da diversi anni. Di conseguenza, la difesa dell'economicità dipende in larga misura dagli "altri proventi di gestione" alimentati dagli apporti pubblici. L'ondata delle rettifiche è stata arginata in alcuni casi grazie al ricorso massiccio alla "cappatura" delle garanzie (non sempre desumibile con precisione dai bilanci).
Hanno risposto 55 confidi 106 (su 372 "attivi") e 23 confidi 107 (su 54 iscritti alla data della rilevazione). Si tratta pertanto di un campione parziale, anche per il 107, e le rilevazioni presentano molte zone d'ombra (ben evidenziate nella premessa metodologica), specialmente per i 106 più piccoli. Ciò nonostante, dall'analisi emergono molti spunti interessanti. Il punto critico è la redditività. I 107 percepiscono ricavi caratteristici (commissioni di garanzia) di poco superiori alle spese amministrative, quindi del tutto inadeguati ad assorbire le rettifiche per deterioramento delle garanzie che rimangono su livelli abnormi da diversi anni. Di conseguenza, la difesa dell'economicità dipende in larga misura dagli "altri proventi di gestione" alimentati dagli apporti pubblici. L'ondata delle rettifiche è stata arginata in alcuni casi grazie al ricorso massiccio alla "cappatura" delle garanzie (non sempre desumibile con precisione dai bilanci).
A livello aggregato, il patrimonio dei 107 appare più che adeguato rispetto ai minimi di vigilanza, ma le situazioni singole sono molto differenziate. Inoltre, ha sottolineato Paola De Vincentiis, c'è un timore di fondo: patrimonio e fondi rischi sono adeguati rispetto alla copertura delle esposizioni deteriorate fuori bilancio, che ancora non hanno prodotto interventi per cassa? In molti casi non lo sono, con ogni probabilità.
Il classico confronto tra 106 e 107 rivela una situazione più pesante in casa dei secondi, sia per il peso delle sofferenze, sia per l'incidenza dei costi operativi sul garantito e sui margini. E non sembra che i confidi più grandi conseguano economie di scala.
I 106 non sono un gruppo omogeneo, peraltro, l'analisi fa uno zoom sui piccoli (con volume di attività finanziarie, VAF, sotto i 3 milioni di euro) e i relativamente grandi (VAF sopra i 60 milioni). I primi sono molto variegati, i secondi assomigliano ai 107, ma beneficiano di minori spese amministrative. I dati sul rischio di credito non sono però comparabili tra confidi vigilati e non vigilati: i 106 sono probabilmente meno pronti e meno severi nel far emergere le perdite.
I 106 non sono un gruppo omogeneo, peraltro, l'analisi fa uno zoom sui piccoli (con volume di attività finanziarie, VAF, sotto i 3 milioni di euro) e i relativamente grandi (VAF sopra i 60 milioni). I primi sono molto variegati, i secondi assomigliano ai 107, ma beneficiano di minori spese amministrative. I dati sul rischio di credito non sono però comparabili tra confidi vigilati e non vigilati: i 106 sono probabilmente meno pronti e meno severi nel far emergere le perdite.
E' sempre difficile trarre conclusioni nette da analisi del sistema confidi basate sui bilanci. Anche nel caso di questo studio, le conclusioni sono problematiche: i comparti che più hanno investito per riposizionarsi nel nuovo quadro di regolamentazione (i vigilati) non stanno meglio degli altri, anzi. Forse le direttrici di riforma e riassetto del sistema non erano chiare, né adeguate, o forse i confidi non erano attrezzati per seguirle. E poi è arrivata la crisi più lunga e drammatica da decenni, forse i problemi sono esplosi in questa emergenza senza fine. Forse.
Ci vuole molta pertinacia per condurre in porto una ricerca sull'oggetto misterioso che è il sistema confidi. Mancano sempre dei benchmark, dei modelli strategici e di equilibrio gestionale chiari e di cui si possano verificare le performance dai dati di bilancio. E se quei modelli mancavano o non erano sufficientemente chiari all'inizio del percorso, tra le onde della crisi è stato impossibile reinventarli o anche semplicemente calibrarli. Che ci volete fare? Da qui si deve ripartire.
Ci vuole molta pertinacia per condurre in porto una ricerca sull'oggetto misterioso che è il sistema confidi. Mancano sempre dei benchmark, dei modelli strategici e di equilibrio gestionale chiari e di cui si possano verificare le performance dai dati di bilancio. E se quei modelli mancavano o non erano sufficientemente chiari all'inizio del percorso, tra le onde della crisi è stato impossibile reinventarli o anche semplicemente calibrarli. Che ci volete fare? Da qui si deve ripartire.
Dopo Paola ha parlato Marco Bortoli (Gruppo Impresa). Anche lui e il suo staff si sono sobbarcati un lavoro certosino: hanno censito i programmi regionali che riguardano le garanzie creditizie, e che quindi interessano, quasi sempre, i confidi. Le Regioni sono state concordi nel collaborare, e hanno risposto tutte fornendo le informazioni richieste.
L'analisi ha coperto il periodo 2006-2011. Sono stati aggiunti anche i dati sugli interventi statali (Fondo centrale di garanzia in primis), del sistema camerale, di istituzioni comunitarie (FEI).
Dall'elaborazione risulta che gli stanziamenti totali sono stati imponenti, più di 4 miliardi e mezzo in sei anni. Non tutti questi soldi sono stati impegnati ed erogati, e solo una parte di quelli spesi è arrivata ai confidi (lo ha fatto notare Andrea Giotti di Eurofidi nell'incontro preliminare del giorno prima). Anche Bortoli si è dovuto armare di santa pazienza per tessere l'arazzo della mappa dell'intervento pubblico. Non è un arazzo fiammingo, nel senso che non ritrae una scena dove si vede cosa fanno precisamente i personaggi con dettagli definiti e vivaci. Il numero delle azioni censite è enorme (259). La distribuzione per territori è molto variegata. Le procedure di assegnazione e monitoraggio presentano anch'esse molta varietà e, ahimè, approssimazione. Aspetti cruciali di compliance, come quelli in tema di aiuti di Stato e di procedure di assegnazione, sono il più delle volte impostati nel modo più spiccio (vedi preferenza per il regime de minimis) e spesso non sono nemmeno considerati. Le regole di condizionamento o controllo dell'effettivo beneficio prodotto per le imprese sono generiche o inesistenti. Anche da questa parte della ricerca emerge un quadro problematico. Si sarebbe potuto fare di più con le ingenti risorse pubbliche (che c'erano, e ancora ci sono!), soprattutto migliorando e uniformando le procedure, avvicinando gli interventi alle effettive necessità delle imprese, riducendo le duplicazioni tra soggetti e interventi.
L'analisi ha coperto il periodo 2006-2011. Sono stati aggiunti anche i dati sugli interventi statali (Fondo centrale di garanzia in primis), del sistema camerale, di istituzioni comunitarie (FEI).
Dall'elaborazione risulta che gli stanziamenti totali sono stati imponenti, più di 4 miliardi e mezzo in sei anni. Non tutti questi soldi sono stati impegnati ed erogati, e solo una parte di quelli spesi è arrivata ai confidi (lo ha fatto notare Andrea Giotti di Eurofidi nell'incontro preliminare del giorno prima). Anche Bortoli si è dovuto armare di santa pazienza per tessere l'arazzo della mappa dell'intervento pubblico. Non è un arazzo fiammingo, nel senso che non ritrae una scena dove si vede cosa fanno precisamente i personaggi con dettagli definiti e vivaci. Il numero delle azioni censite è enorme (259). La distribuzione per territori è molto variegata. Le procedure di assegnazione e monitoraggio presentano anch'esse molta varietà e, ahimè, approssimazione. Aspetti cruciali di compliance, come quelli in tema di aiuti di Stato e di procedure di assegnazione, sono il più delle volte impostati nel modo più spiccio (vedi preferenza per il regime de minimis) e spesso non sono nemmeno considerati. Le regole di condizionamento o controllo dell'effettivo beneficio prodotto per le imprese sono generiche o inesistenti. Anche da questa parte della ricerca emerge un quadro problematico. Si sarebbe potuto fare di più con le ingenti risorse pubbliche (che c'erano, e ancora ci sono!), soprattutto migliorando e uniformando le procedure, avvicinando gli interventi alle effettive necessità delle imprese, riducendo le duplicazioni tra soggetti e interventi.
Zeno Rotondi (Unicredit) ha presentato la parte della ricerca che riguarda i rapporti con le banche. Si tratta di uno studio econometrico condotto sui dati interni di Unicredit. L'Italy Research Staff della banca ha testato la relazione causale tra un indice di tensione finanziaria (collegato al peso dell'utilizzato sull'accordato a livello di sistema) e una serie di variabili esplicative riferite alla relazione banca - impresa, come la sua durata, il livello di rating interno e, nello specifico, il ricorso a garanzie confidi. Il periodo di osservazione copre i due anni a cavallo dello scoppio della crisi (2008 e 2009). Le evidenze statistiche dimostrano che la garanzia confidi è ha un impatto significativo quale fattore di contenimento delle tensioni finanziarie, e ciò risalta in particolare per i clienti che non hanno un rapporto di lunga data con la banca (quindi non sono affidati in una logica di relationship banking). Di qui la conclusione, raggiunta dagli autori, che l'intervento dei confidi configura una lending technology innovativa alternativa al relationship banking. Grazie ai confidi diventano bancabili imprese meritevoli di credito altrimenti sfavorite in quanto assegnatarie di un rating medio-basso e/o meno conosciute dalla banca. La garanzia (quella "implicita") dei confidi avrebbe pertanto un valore segnaletico che trascende il suo effettivo potere di attenuazione del rischio. Confortato dall'analisi dei suoi ricercatori, Unicredit riafferma il valore della "garanzia implicita" resa da un confidi.
Un "vecchio" come me (che viene da una scuola di tecnica bancaria aliena alle regressioni) avrebbe osservato che nel 2009 i confidi hanno sviluppato una massiccia offerta di garanzie su finanziamenti anti-crisi, soprattutto linee di liquidità, che hanno interessato una platea di aziende che prima non utilizzavano le loro garanzie. In molti casi si trattava di clienti nuovi anche per le banche erogatrici. Forse in alcune regioni Unicredit ha fatto molte operazioni di questo tipo. Nell'anno di erogazione, l'accordato è cresciuto e l'utilizzato su linee a breve pregresse si è ridimensionato, quindi l'indice di tensione finanziaria è migliorato. L'efficacia di questa nuova lending technology l'abbiamo verificata e la stiamo verificando negli anni successivi al 2009. Forse è vero che si sono risolte molte situazioni, forse è ancora presto per dirlo.
Dopo la presentazione delle tre parti sostanziali della ricerca, si è aperto il dibattito. L'elenco dei relatori era veramente nutrito, ed erano tutti molto qualificati. Non riesco qui a rendere giustizia a tutti, perdonerete la sommarietà.
Brunozzi ha poi ripercorso le novità degli ultimi mesi (Riserve POI, priorità per le zone colpite dai sismi, trasparenza, fund raising). Tra queste mi sono annotato una cosa che riguarda il discusso abbassamento dall'80% al 50% della riserva a tutela delle operazioni di importo sotto i 500.000 euro attuato dal Decreto Fare: se non si fosse abbassata la quota riservata ai piccoli, il Fondo avrebbe interrotto le erogazioni di importo superiore alla soglia suddetta.
Le domande continuano ad arrivare al Fondo a ritmo sostenuto. Con le attuali risorse (e, aggiungo io, purché gli accantonamenti a fondo rischi bastino a coprire le escussioni) il Fondo ha benzina per viaggiare fino alla primavera 2014.
Ho segnato un'altra cosa sull'ammissione al Fondo delle Start-up innovative assistite da incubatori certificati: per ottemperare alla previsione da Decreto MISE di accesso gratuito e semplificato al Fondo, il Gestore accoglie le richieste di garanzia delle start-up senza il passaggio della valutazione del merito di credito. [a me sembra discutibile]
Salvatore Vescina (MiSE) tra altre riflessioni ha riproposto un'elaborazione dei dati 2000- maggio 2013 sui tassi di default delle operazioni appoggiate sul Fondo centrale (in attesa degli atti li trovate in queste slide di un convegno di luglio scorso). Emerge che il tasso di default delle controgaranzie (insolvenze su importi garantiti) è sensibilmente più basso rispetto a quello delle garanzie dirette (il 2,7% contro il 4,6%). Inoltre ha citato un precedente studio da lui effettuato su un campione di pratiche passate a MCC da una grande banca, in cui aveva riscontrato una maggior incidenza delle posizioni con rating inferiore nel caso delle controgaranzie rispetto alle "dirette" (il che confermerebbe l'effetto "bancabilità" emerso anche nello studio di Unicredit). Inoltre le controgaranzie appoggiano sullo Stato una quota di rischio (sull'erogato) mediamente più bassa. E allora, bravi confidi!
Le tesi di Vescina sono molto stimolanti (e alcuni confidi le hanno rilanciate con entusiasmo, anche su questo blog); le ritengo fondate, ma mi piacerebbe sottoporle a una verifica più circostanziata, separando la storia degli ultimi anni da quella precedente. Le garanzie dirette sono cresciute di peso nel dopo-crisi, quindi ritengo che sia spiegabile la loro performance peggiore con la diversa stratificazione temporale (ne sono entrate in proporzione di più negli ultimi anni). Questo sarebbe confermato anche dal confronto con i tassi di default misurati non sui valori garantiti, ma sul numero di operazioni: qui le contro-garanzie appaiono ancora più virtuose (incidenza delle pratiche insolventi dell'1,8% contro il 4,8% delle garanzie dirette), ma probabilmente è perché le pratiche più vecchie erano di importo mediamente più basso, e quindi incidevano meno sui tassi di default in valore menzionati sopra.
Ritengo che il Gestore dovrebbe pubblicare le statistiche sugli stock garantiti e sui tassi di decadimento; con quei dati sarebbe molto più facile fare analisi sensate. Speriamo che prima o poi ci si arrivi.
Le tesi di Vescina sono molto stimolanti (e alcuni confidi le hanno rilanciate con entusiasmo, anche su questo blog); le ritengo fondate, ma mi piacerebbe sottoporle a una verifica più circostanziata, separando la storia degli ultimi anni da quella precedente. Le garanzie dirette sono cresciute di peso nel dopo-crisi, quindi ritengo che sia spiegabile la loro performance peggiore con la diversa stratificazione temporale (ne sono entrate in proporzione di più negli ultimi anni). Questo sarebbe confermato anche dal confronto con i tassi di default misurati non sui valori garantiti, ma sul numero di operazioni: qui le contro-garanzie appaiono ancora più virtuose (incidenza delle pratiche insolventi dell'1,8% contro il 4,8% delle garanzie dirette), ma probabilmente è perché le pratiche più vecchie erano di importo mediamente più basso, e quindi incidevano meno sui tassi di default in valore menzionati sopra.
Ritengo che il Gestore dovrebbe pubblicare le statistiche sugli stock garantiti e sui tassi di decadimento; con quei dati sarebbe molto più facile fare analisi sensate. Speriamo che prima o poi ci si arrivi.
Vescina ha poi trattato della novità delle garanzie di portafoglio made in FCG disciplinate dal recente Decreto (che commentavo qui). Non ha avuto il tempo al convegno di entrare nei dettagli di questa tecnica relativamente nuova, ma ha invitato le amministrazioni regionali ad avvalersi della possibilità di copertura del rischio mezzanine ("sopra" il rischio junior trattenuto dalla banca, dal Fondo centrale ed eventualmente dal confidi) in modo da arrivare a strutture con maggior attenuazione del rischio, da preferire rispetto alle tranched cover supportate soltanto da fondi regionali (come quelle del Veneto e della Puglia illustrate in una nota di Claudio D'Auria che commentavo qui).
Roberto Calugi (CCIAA Milano) ha ribadito le opinioni espresse nella recente ricerca sul sistema dei confidi lombardi: il sistema confidi ha una numerosità non sostenibile rispetto agli spazi di mercato e alla dotazione di fondi pubblici. Per questa ragione, il sistema camerale in Lombardia ha pressoché azzerato gli apporti ai fondi rischi dei singoli confidi, privilegiando interventi di sistema (Confiducia, fondi FEI tramite Federfidi Lombarda, sezione milanese di Confidi International) volti a favorire il consolidamento della struttura di offerta. Secondo Calugi c'è il rischio di subire aggregazioni "forzose" sotto la pressione dell'azione di Vigilanza [la Banca d'Italia ha poi precisato che non ha alcun programma del genere]. I confidi devono invece agire in positivo con proposte di riorganizzazione guidate da logiche di efficienza che gli enti pubblici, in Lombardia, sono disposti ad accompagnare e incentivare.
Prima di pranzo c'è stato un breve panel di dirigenti regionali preposti alle politiche industriali e del credito.
Morena Diazzi (Emilia Romagna) ha parlato degli interventi per circa 120 milioni di euro attuati dalla sua amministrazione, per metà rivolti alla ricapitalizzazione dei maggiori confidi di settore, per l'altra metà ad un fondo di co-garanzia regionale. Ha rimarcato la difficoltà di pilotare le politiche regionali tenendo conto dei requisiti molteplici e sempre più stringenti posti dai diversi regulator e supervisori. In particolare, ha accennato al caso Fidindustria, nel quale un provvedimento della Banca d'Italia ha di fatto messo in quarantena un veicolo di politica creditizia regionale.
Michele Pelloso (Veneto) ha sottolineato la necessità di programmi disegnati e attuati in maniera efficace ("che funzionino più che alla perfezione" [sic!]). Questo richiede un'attenta progettazione, di concerto con i soggetti tecnici (la finanziaria Veneto Sviluppo, i confidi, le banche), per avere procedure il più possibile semplici. Ha poi menzionato come esempi positivi le tranched cover (di cui accennavo prima) e la riassicurazione attuata tramite i confidi.
Armando De Crinito (Lombardia) ha accennato (velocemente perché il pranzo incombeva) alla due diligence sui confidi intrapresa dalla Regione per il tramite di Federfidi Lombarda, ed eseguita dai consulenti PWC; è stato lo spunto per affermare che i confidi sono uno strumento e non un obiettivo delle politiche regionali, quindi la Regione pone delle condizioni di funzionalità per dare degli aiuti.
Dopo un buffet in cui ho avuto l'occasione di salutare diversi amici e conoscenti (gustando delle buone lasagne con crema di zucca e funghi), sono ri-iniziati i lavori.
Era molto atteso l'intervento di Marco Troiani (Banca d'Italia). Come accade sempre negli interventi a convegno di esponenti della Vigilanza, sono stati presentati dei dati aggiornati a giugno 2013 sullo stock di garanzie (distribuzione per regione e per forme tecniche con distinzione tra 107 e 106, o meglio, 155 comma 4). Nel 2012 i 107 hanno messo a bilancio perdite per 75 milioni, e sono risultati in perdita 6 confidi su 10. Il cost income ratio è molto alto. L'incidenza del deteriorato appare allineata con il sistema bancario, ma si può ritenere sottostimata per i ritardi nella comunicazione degli eventi anomali da parte delle banche, e/o per il relativo recepimento in bilancio da parte dei confidi. L'adeguatezza del patrimonio pare buona a livello aggregato, ma molto differenziata e con un punto di domanda sulle perdite emerse [tutte e tre le evidenze / ipotesi erano già emerse dall'analisi di Paola De Vincentiis].
Troiani ha ricordato le comunicazioni che la Vigilanza ha indirizzato nel 2013 ai confidi in materia di Fondi monetari (febbraio), passività subordinate (marzo) e classificazione delle partite anomale (maggio). Su quest'ultimo punto, ha ribadito che la Banca d'Italia è impaziente di veder risolto il problema dei flussi informativi tra banca e confidi. La Banca d'Italia sa che ABI e AssoConfidi hanno fatto dei passi avanti (anche per rispetto verso le sollecitazioni delle Autorità), però aspetta presto dei risultati [qui posso dirvi che lunedì 7/10 gli esperti dei confidi, affiancati da alcuni fornitori IT, hanno una riunione alla quale dovevo partecipare anch'io, ma purtroppo con le lezioni iniziate non riesco; dovrebbero avere pronto il tracciato informativo da chiedere alle banche; mi chiedo però il motivo per cui non lo hanno messo a punto incontrandosi con gli esperti delle banche, forse i consulenti ci hanno pensato loro, speriamo che non passi un altro anno ...].
Troiani ha poi toccato gli argomenti più delicati, a cominciare dagli esiti delle ispezioni presso i confidi vigilati (che ho censito qui). Delle 10 ispezioni già ultimate (tre sono quasi finite o ancora in corso) due hanno avuto parere favorevole, quattro "parzialmente sfavorevole" e quattro "in prevalenza sfavorevole o sfavorevole".
Delle ultime quattro una ha riguardato Sinvest, che ha poi subito in data 24 agosto la cancellazione dall'elenco speciale. L'esponente di Banca d'Italia l'ha ricordato pensosamente, ammettendo che è stata una decisione traumatica anche per il Supervisore, ma del resto ha detto che non c'erano alternative percorribili, essendo ormai pregiudicate le condizioni di "sana e prudente gestione". [speriamo che il direttore Michele Testa abbia nel frattempo trovato una soluzione non traumatica per gestire gli esiti della cancellazione].
Delle ultime quattro una ha riguardato Sinvest, che ha poi subito in data 24 agosto la cancellazione dall'elenco speciale. L'esponente di Banca d'Italia l'ha ricordato pensosamente, ammettendo che è stata una decisione traumatica anche per il Supervisore, ma del resto ha detto che non c'erano alternative percorribili, essendo ormai pregiudicate le condizioni di "sana e prudente gestione". [speriamo che il direttore Michele Testa abbia nel frattempo trovato una soluzione non traumatica per gestire gli esiti della cancellazione].
L'ultimo tema toccato era ancora più caldo: mi riferisco alla "soglia" per l'iscrizione all'Albo unico degli intermediari finanziari [quelli vigilati dalla Banca d'Italia] ex art. 106 TUB [quello novellato dal DL 141/2010].
La consultazione MEF in materia si è conclusa, ma ci vorrà qualche settimana prima che il Ministero valuti e promulghi il decreto fatidico. Se [e sottolineo se] la soglia fosse innalzata a 150 milioni di euro di volume di attività finanziarie (VAF), degli attuali 62 confidi iscritti, ce ne sarebbero 33 con VAF superiore, e 29 con VAF inferiore. Questi ultimi potrebbero lo stesso chiedere l'iscrizione all'Albo, e restarci per cinque anni anche in difetto del requisito dimensionale, nella prospettiva di raggiungerlo. Però, facciamo attenzione: tutti i confidi attualmente iscritti all'elenco speciale dovranno presentare domanda di autorizzazione all'iscrizione al nuovo Albo unico, tanto quelli sopra la soglia, quanto quelli che oggi non la raggiungono.
E qui il dott. Troiani ha distribuito un consiglio prezioso, che cerco di parafrasare per renderlo più chiaro: la verifica del rispetto della soglia è uno dei passaggi che i confidi devono compiere rispetto alla scelta di iscriversi all'Albo unico, che è una scelta strategica, voluta, non imposta né da subire meccanicamente. Pertanto, facciano tutti un esame di coscienza, e optino per l'iscrizione soltanto se smarcano tutti i requisiti, non solo quello dimensionale. Se poi non rispettano la soglia, o se versano in situazione di difficoltà, facciano un esame suppletivo, e pensino a riorganizzarsi / aggregarsi prima di bussare alla porta dell'Albo unico.
La consultazione MEF in materia si è conclusa, ma ci vorrà qualche settimana prima che il Ministero valuti e promulghi il decreto fatidico. Se [e sottolineo se] la soglia fosse innalzata a 150 milioni di euro di volume di attività finanziarie (VAF), degli attuali 62 confidi iscritti, ce ne sarebbero 33 con VAF superiore, e 29 con VAF inferiore. Questi ultimi potrebbero lo stesso chiedere l'iscrizione all'Albo, e restarci per cinque anni anche in difetto del requisito dimensionale, nella prospettiva di raggiungerlo. Però, facciamo attenzione: tutti i confidi attualmente iscritti all'elenco speciale dovranno presentare domanda di autorizzazione all'iscrizione al nuovo Albo unico, tanto quelli sopra la soglia, quanto quelli che oggi non la raggiungono.
E qui il dott. Troiani ha distribuito un consiglio prezioso, che cerco di parafrasare per renderlo più chiaro: la verifica del rispetto della soglia è uno dei passaggi che i confidi devono compiere rispetto alla scelta di iscriversi all'Albo unico, che è una scelta strategica, voluta, non imposta né da subire meccanicamente. Pertanto, facciano tutti un esame di coscienza, e optino per l'iscrizione soltanto se smarcano tutti i requisiti, non solo quello dimensionale. Se poi non rispettano la soglia, o se versano in situazione di difficoltà, facciano un esame suppletivo, e pensino a riorganizzarsi / aggregarsi prima di bussare alla porta dell'Albo unico.
I tempi di tutto questo? Speriamo che i regolamenti attuativi che mancano vedano la luce entro la fine dell'anno, da allora gli attuali iscritti al "107" avranno tre mesi per fare domanda di autorizzazione al nuovo Albo. Forse alcuni potrebbero già accedere nel primo semestre 2014.
Sui confidi minori, Troiani è rimasto sulle generali, ribadendo che dovranno limitare la loro operatività alla garanzia collettiva e ad attività connesse e strumentali strettamente delimitate. Sì, saranno sottoposti alla supervisione dell'Organismo gestore, quindi a modo loro saranno vigilati [sapete che non ci credo molto, tanto più dopo aver letto il contributo alla consultazione MEF di AssoConfidi, nel quale mi pare che si raccomandi di limitare le competenze dell'Organismo minori alla verifica dei requisiti di legge per l'iscrizione all'elenco e quelli di onorabilità degli amministratori, altro che vigilanza quasi equivalente a quella dei "maggiori"! Ma forse mi sbaglio].
Anche Roberto Remondi (Unicredit) ha detto cose interessanti e soprattutto chiare. Il gruppo Unicredit, per voce del suo DG Roberto Nicastro, ha espresso in una recente audizione parlamentare la sua visione sul futuro del sistema di garanzia. Ne avevo parlato in questo post. Nicastro prospettava un forte potenziamento del Fondo centrale con interventi di co-garanzia (leggi garanzia diretta per quote più basse di quelle attuali, intorno al 50%). Remondi completa questo quadro specificando che cosa dovrebbero fare i confidi al suo interno: se ho inteso bene, i confidi dovrebbero specializzarsi sulle imprese di dimensioni minori che non soddisfano i requisiti per l'ammissione alla garanzia del Fondo centrale. Con quali strumenti? Dando garanzie supportate da fondi regionali oppure partecipando come co-garanti del rischio equity (o mezzanine) alle garanzie di portafoglio che partiranno sul Fondo centrale, o alle tranched cover appoggiate su fondi regionali (come quelli prima ricordati) o sul FEI. [Il Fondo centrale sarebbe pertanto riconvertito verso il credito alle medie imprese, concesso in garanzia diretta. Se è così, si chiarirebbero molte cose, però che soluzione traumatica! E lo dico specialmente per i confidi industriali, che del resto sono già drammaticamente spiazzati dalla concorrenza della garanzia diretta sul Fondo].
Ho apprezzato gli esempi forniti sulle operazioni di tipo tranched, aspetto le slide per capirli meglio.
Ho meno cose da dire dell'intervento del presidente di AssoConfidi Fabio Petri, e non certo perché abbia detto cose non rilevanti, o che non condivido. Semplicemente, le posizioni espresse mi sono parse meno "in movimento" di quelle portate dagli altri partner / concorrenti / interlocutori dei confidi. Ci sono in atto grandi manovre, i confidi reagiscono (e sono riusciti a difendere le posizioni al Senato nel processo di conversione del Decreto Fare), ma i loro "contendenti" sono più agguerriti e propositivi. Per cui va benissimo tutto quello che Petri ha ricordato: che i confidi si sentono forti del peso che il settore della garanzia collettiva riveste in Italia (record europeo), che sono gratificati del riconoscimento del loro ruolo da parte delle banche e dei policy makers, perché conoscono il territorio, che stanno sviluppando un proprio sistema di rating per valorizzare appunto gli aspetti qualitativi [anche se Troiani ha detto che questa soft information non ha lasciato tracce visibili nei processi del credito controllati dai loro ispettori].
Attenzione, però, perché "quegli altri" un giorno ti chiamano e propongono di rinegoziare le convenzioni, di entrare in una mezzanine, non indirizzano più i clienti verso la contro-garanzia, oppure "quegli altri ancora" vengono in casa e ti fanno la due diligence, non ti danno i soldi così perché è meglio cosà, ecc. ecc. Il sistema confidi, attraverso le sue federazioni, e l'associazione delle federazioni, è capace di tenere botta, di contro-proporre cose altrettanto stringenti, concrete, più motivate?
[Scusi Presidente, ho chiosato il suo intervento più che raccontarlo, delle chiose faccia l'uso che meglio crede]
Bene [sarete esausti se siete arrivati fino a qui]. A questo punto mi resta un flash sul panel di nove direttori di confidi (più un presidente) che hanno chiuso il convegno. Sono stati bravissimi per efficacia e concisione. Io non sarò altrettanto bravo, ma più conciso, e vi riporto soltanto i tweet che ho lanciato ascoltandoli (e quello di Ambra Redaelli per le voci che non ho fatto in tempo a catturare):
- Andrea Giotti (Eurofidi): non basta dire all'attore pubblico "Coprici le perdite!". Dimostrare filiere efficienti e vantaggi per le imprese
- Aleandro Manetti (Toscana ComFidi): garanzie segregate, già vitali per non affondare nella crisi, ancora attuali per imprese fuori FCG
- Giorgio Guarena (Unionfidi Piemonte): risk transfer utile se efficace. Varietà canali non sempre dà valore aggiunto
- Bartolo Mililli (Confeserfidi): andare oltre vendita garanzia per apporto duraturo di consulenza, anche su situazioni critiche
- Marco Barbero (Cofiter Bologna): servirebbe sistema rating proprio dei confidi per dialogare autorevolmente con banche e PA
- Fabio Cutrera (Confapi LombardaFidi): FCG passi a lavorare coi confidi a plafond, fidandosi dell'istruttoria confidi fuori scoring FCG
- Ferruccio Vannucci (Cooperfidi Italia) [by Ambra]: Assoconfidi cambi pelle, la soglia per i vigilati sarebbe dovuta essere zero. Le banche stanno trasferendo importanti quote di portafoglio sul fondo (FCG)
- Luciano Sassetto (Artigianfidi Vicenza): positivo lavoro su Tranched con colleghi 107 e Veneto Sviluppo. Novità contratti e segnalazioni
- Cipriana Zorzòli (Confidi Lombardia): i tanti ispettori che ci seguono ci valutino per come sappiamo lavorare, non per le perdite che un'emergenza eccezionale ci ha scaricato addosso
- Massimo Perini (Confidi Province Lombarde): esperienza di un confidi con capitale eroso nel 2011-13, seguito in presa diretta da Banca d'Italia. Si va avanti
Mia opinione: quasi tutte le proposte sui confidi hanno un centro di gravità => come attingere fondi pubblici. Non basta! #ConfidiMi4ott
— Luca Erzegovesi (@lerzegov) October 4, 2013
Luca hai fatto una cronaca perfetta! Mi complimento con gli organizzatori e illustri relatori Nicolai,De Vincentiis, Bortoli, Rotondi. Due cose sottolineo in particolare: 1) le banche che usufruiscono del fondo centrale con la garanzia diretta hanno il doppio (quasi) di sofferenza rispetto ai confidi 2) sembrano essere pronte le procedure per partire con i portafogli tipo tranched garantiti dal fondo centrale.
RispondiEliminaCi sono margini enormi per collaborazione banche-confidi, le imprese ne avrebbero solo benefici ed il fondo pure. Saluti
Il suo tweet (ma non per sviolinare un complimento) vale piu' di 20 tesi di laurea /relazioni statistiche.
RispondiEliminaIl problema è la testa del confidi non il cuore o la pancia.
Se la testa "non svolta" nella direzione dell'autosufficenza finanziaria e dell'indipendenza da "MammaCassaPubblica"... i confidi possono anche superare la crisi, ma non cresceranno mai (non in termini dimensionali ma professionali), non saranno mai dinamici fino in fondo, non vivranno mai di luce propria.
Resteranno lungamano statale/regionale/associativa.
Io immagino un confidi "di mercato":
- Che venda consulenza
- Che apra partnership estere
- Che si ritagli un ruolo da protagonista a fianco dell'imprenditore (non subalterno)
- Che non sia condizionato od ostaggio di enti(associazioni) e che abbia dei CDA dinamici con "menti" leggere aperte alle nuove sfide, finanziarie, digitali, di mercato
- Che sia protagonista e "acchiappi le occasioni di rilancio (che si chiamino minibond, reti d'impresa o crowdfunding)..
...Ci sono nato professionalmente in quel mondo e ci ho passato 10 anni molto belli , e spero che emergano innovatori che ne rivoluzionino lo "status"
Grazie, Marco.
RispondiEliminaIl tweet non era rivolto soltanto ai confidi, ma a tutto il mondo che ruota attorno alla filiera del credito / garanzia alle Pmi. Oggi un modello di confidi schiacciato sulla distribuzione (indiretta) di benefici alimentati da fondi pubblici non sopravvive perché ci sono altri soggetti forti che rivendicano quel ruolo, a cominciare dalle banche. Quando le banche chiedono di spostare il grosso dell'operatività del Fondo verso operazioni tra 0,5 e 2,5 milioni di euro in garanzia diretta perché ne hanno i portafogli pieni e hanno bisogno di supporto patrimoniale e assorbimento di perdite, i confidi possono alzare la voce (come hanno fatto), ma se non hanno altro da mettere sul tavolo sono destinati a soccombere, o a finire in una riserva indiana.
Ho letto tutto con attenzione e ho avuto modo di scrutare questo articolo fresco di stampa ( http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2013-10-06/confidi-reggono-fatica-crisi-085158.shtml?uuid=Ab7ZZWoI ). Trovo intrigante quanto accreditato come conclusione del convegno "Confidi quale futuro" a Nicolai da Sarcina : «Il razionamento del credito e il deficit strutturale del sistema della garanzia sono problemi più evidenti negli operatori di dimensione maggiore. E' fondamentale una misura forte per affrontare il credit crunch, come una dotazione di almeno 5 miliardi del Fondo centrale di garanzia, che alimenterebbe 100 miliardi di finanziamenti». Quindi e'questa la conclusione e la soluzione messa "nel tavolo" ? Se fosse veramente cosi : augh !
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