Avete letto la presentazione di Carlo Sappino (Direttore generale per gli incentivi alle imprese nel MiSE) al Convegno Fedart del 1° dicembre scorso? Merita di essere ripresa. In un discorso ad ampio raggio su Fondo Pmi e confidi, Sappino illustra un'ipotesi di attuazione delle misure di rafforzamento patrimoniale dei confidi ex Legge di stabilità 2014 (art. 1, co. 54). In particolare, si sofferma sulla forma dei contributi in conto capitale ai confidi in difficoltà per carenza di patrimonio.
Per Sappino, la finalità di un intervento del genere rientra tra quelle oggetto della Comunicazione della Commissione 1.8.2013 (che disciplina gli aiuti di Stato al settore creditizio), il che rende imprescindibile la notifica alla Commissione europea della misura di aiuto. Tale inquadramento avrebbe rilevanti riflessi sulle modalità attuative dell’intervento:
a) la misura andrebbe necessariamente configurata, come fatto per il salvataggio delle banche, come misura di sostegno ai confidi in difficoltà, quindi in senso fortemente limitativo;
b) l’aiuto pubblico sarebbe condizionato all’adozione di misure di «condivisione degli oneri» da parte dei soci dei confidi.
Scendendo nel tecnico (citando dalla presentazione):
Perché i confidi messi male meriterebbero questi soldi, sottratti al sistema della garanzia pubblica? Può darsi che li meritino, ma anche no. Sappino solleva questa criticità.
Anche nella mia audizione al Senato sulla riforma dei confidi ho ribadito la necessità di separare gli aiuti straordinari ai confidi da quelli ordinari. In questo mi ritrovo in sintonia con quanto sopra ripreso dalla presentazione del MiSE. Nella mia visione, l'aiuto straordinario deve essere condizionato a un piano di riassetto strategico e patrimoniale del confidi in difficoltà, che non necessariamente deve salvaguardare la continuità del confidi in crisi, né la sua governance. Servirebbe quindi un soggetto gestore dell'aiuto più invasivo (un commissario straordinario, un'agenzia per la ristrutturazione del settore), non un mero serbatoio di fondi (come quello previsto dalla Legge di stabilità 2014).
Dubito fortemente che questa ipotesi di uso del Fondo Pmi venga attuata. Il MiSE mi pare molto cauto. E il sistema confidi ha rinnovato la richiesta di aiuti più generali e meno condizionati, nella forma di contributi a fondo rischi erga omnes, o di garanzie cappate sul portafoglio in essere.
Di confidi in crisi ce ne sono, però. Il problema rimane aperto.
Le soluzioni saranno più mirate e riservate, sempre che ci siano i soldi e la volontà per attuarle.
Per Sappino, la finalità di un intervento del genere rientra tra quelle oggetto della Comunicazione della Commissione 1.8.2013 (che disciplina gli aiuti di Stato al settore creditizio), il che rende imprescindibile la notifica alla Commissione europea della misura di aiuto. Tale inquadramento avrebbe rilevanti riflessi sulle modalità attuative dell’intervento:
a) la misura andrebbe necessariamente configurata, come fatto per il salvataggio delle banche, come misura di sostegno ai confidi in difficoltà, quindi in senso fortemente limitativo;
b) l’aiuto pubblico sarebbe condizionato all’adozione di misure di «condivisione degli oneri» da parte dei soci dei confidi.
Scendendo nel tecnico (citando dalla presentazione):
Il contributo pubblico dovrebbe essere dunque riconosciuto, in maniera selettiva, a quei confidi che presentano un patrimonio non sufficiente rispetto al valore delle sofferenze (al netto di controgaranzie e considerando eventuali limiti – cap – alle esposizioni assunte dal confidi).
A ciascuno di detti confidi sarebbe riconosciuto, nei limiti delle risorse disponibili, un aiuto nella misura tale da riportare il rapporto tra patrimonio e totale attività, al netto delle sofferenze, al 6%.
Le somme necessarie a riportare il rapporto tra «patrimonio (meno le sofferenze nette) e totale attività» al 6% sarebbero finanziate:Così prospettato, l'aiuto alla ricapitalizzazione mi sembra difficilmente attuabile: c'è il passaggio necessario a Bruxelles, c'è la condizione della compartecipazione dei soci (e abbiamo diversi esempi in cui l'appello dei confidi a metter mano al portafoglio ha ricevuto adesioni tiepide). Ma il limite decisivo è l'inefficacia di un mero rabbocco di capitale al livello minimo regolamentare, in una situazione di crisi di cui non si affrontano i nodi strutturali.
- con un aumento del capitale sociale finanziato dai soci del confidi;
- dal contributo pubblico, che rappresenterebbe un determinato multiplo (da definire) dell’importo dell’aumento del capitale sociale.
Perché i confidi messi male meriterebbero questi soldi, sottratti al sistema della garanzia pubblica? Può darsi che li meritino, ma anche no. Sappino solleva questa criticità.
Anche nella mia audizione al Senato sulla riforma dei confidi ho ribadito la necessità di separare gli aiuti straordinari ai confidi da quelli ordinari. In questo mi ritrovo in sintonia con quanto sopra ripreso dalla presentazione del MiSE. Nella mia visione, l'aiuto straordinario deve essere condizionato a un piano di riassetto strategico e patrimoniale del confidi in difficoltà, che non necessariamente deve salvaguardare la continuità del confidi in crisi, né la sua governance. Servirebbe quindi un soggetto gestore dell'aiuto più invasivo (un commissario straordinario, un'agenzia per la ristrutturazione del settore), non un mero serbatoio di fondi (come quello previsto dalla Legge di stabilità 2014).
Dubito fortemente che questa ipotesi di uso del Fondo Pmi venga attuata. Il MiSE mi pare molto cauto. E il sistema confidi ha rinnovato la richiesta di aiuti più generali e meno condizionati, nella forma di contributi a fondo rischi erga omnes, o di garanzie cappate sul portafoglio in essere.
Di confidi in crisi ce ne sono, però. Il problema rimane aperto.
Le soluzioni saranno più mirate e riservate, sempre che ci siano i soldi e la volontà per attuarle.
Dunque... dove eravamo rimasti?
RispondiEliminaGrazie Luca di riprendere il blog.
era ora welcome back
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