martedì 20 marzo 2012

Derivati Tesoro - Morgan Stanley: la risposta del governo

Torniamo sul caso della termination dei derivati anno '90 stipulati dallo Stato italiano con Morgan Stanley (vedi post del 16 marzo). In data 15 marzo il Governo, per voce del sottosegretario all'istruzione Rossi Doria, ha risposto all'interpellanza urgente presentata il 1° marzo dall'on. Borghesi (IdV). Ecco il resoconto stenografico.
Pertanto, il giorno del "caso" sollevato da Bloomberg, il Governo aveva già risposto. La notizia era già vecchia. Non è un buon segnale che Bloomberg l'abbia rilanciata per mettere l'Italia in cattiva luce. Guardate questo video dove si ironizza sul Governo italiano che usa i derivati per dare un aiutino ai conti pubblici e imbarca rischi sui quali perde nel gioco con la più abile investment bank. 
Nella risposta all'interpellanza si forniscono dati sulla consistenza dei derivati sul debito dello Stato. Questa news Reuters integra i dati con altri di fonte ISTAT, dai quali emerge chiaramente che i derivati hanno prodotto risparmi di spesa fino al 2005, poi i diversi contratti in essere hanno cominciato generare payoff negativi producendo un onere complessivo di oltre 6 miliardi tra 2006 e 2011. Nell'era pre-euro, gli swap e le swaption sono probabilmente serviti per trasferire oneri finanziari al futuro, spalmandoli su periodi lunghi (fino a 30 anni), per ridurre il deficit negli anni della convergenza e del rigore fiscale. Si tratta di contratti deliberatamente conclusi  in modo da produrre margini attesi positivi nei primi anni, e negativi in quelli successivi. L'Italia ci ha perso nello scambio, più di quanto preventivato alla stipula dei contratti? Non abbiamo gli elementi per dirlo. Certo che il compenso liquidato a Morgan Stanley è pesante.
In occasione della risposta in Parlamento, il Governo non ha fornito dati sul valore marked to market del portafoglio derivati perché  ...
" ... varia continuamente al variare sia del livello dei tassi di mercato sia della conformazione della curva dei rendimenti. Appare evidente che lo stesso è, quindi, un valore in continuo mutamento, la cui rilevanza per uno Stato sovrano risulta essere limitata".
Questo ha sostenuto il governo alla Camera. Sarebbe interessante seguire il mark to market del portafoglio aggregato (debito pubblico + derivati), con una disclosure della composizione per macro-fattori di rischio. Sarebbe un dato per esperti, ma farebbe capire la ratio e il costo degli interventi effettuati, e consentirebbe di pesare più precisamente la durata media finanziaria del debito, e di proiettare il costo per interessi futuro. Sono elementi che variano continuamente con il mercato, ma le tendenze di medio termine, la direzione dell'esposizione al rischio di tasso e di volatilità, sono chiare e interpretabili.
Penso che a Wall Street queste informazioni le abbiano (sono loro le controparti) e se le passino tra trading desk: perché lasciargli questo vantaggio competitivo? Per fargli fare più soldi nel prossimo sell off? Spero che almeno i maggiori gruppi bancari italiani siano altrettanto informati.
Lo ribadisco: nelle statistiche sul rischio finanziario, la trasparenza paga, quando uno se la può permettere.

PS: Sul caso dei derivati con Morgan Stanley è uscito oggi sul Sole 24 ore un articolo pacato di Zingales e Buraschi, che ricostruisce le motivazioni del ricorso ai derivati, le cause probabili del termination payment, e raccomanda la disclosure dei contratti in essere. Segnalo anche il commento di Seminerio dove correttamente si osserva che:
Nei giorni scorsi, sulla nostra stampa abbiamo letto di una perdita potenziale di 31 miliardi di euro per Tesoro da operazioni in derivati. In realtà, come aveva segnalatoBloomberg nel rilanciare la notizia, le perdite del Tesoro sarebbero di 19,5 miliardi amark-to-market, almeno secondo la ricostruzione indiretta che si ottiene dalle comunicazioni obbligatorie di vigilanza effettuate dalle banche d’affari internazionali, che sono vecchie di alcuni mesi. Alla cifra di 31 miliardi si giunge sommando anche le posizioni delle banche private italiane, così come desunte dagli stress test dell’EBA, compiuti la scorsa estate. Forse cambia poco, ma è utile precisarlo.

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