Il primo pensiero è di don Giussani, dal Senso religioso (pag. 53-54):
A una attenta riflessione sulla propria esperienza l'uomo scopre nel suo presente due tipi di realtà.Il secondo è la chiusa di Dona Lüseerta, una canzone del CD Yanez, di Davide Van de Sfroos (qui l'originale completo e tradotto):
a) Un tipo di realtà, che egli ritrova in se stesso, è lungo o largo, pesante o leggero, quantitativamente descrivibile. Diciamo una parola precisa: misurabile. [...]
Il tipo di realtà che presenta le caratteristiche appena indicate potrebbe essere definito con un termine generico: materiale. È la materialità.
b) Se l 'uomo però è totalmente impegnato in quell'istante di riflessione su di sé, noterà nel suo «io» un tipo di contenuto che non si identifica con ciò che finora abbiamo descritto.
L'idea di bontà, per esempio, quel criterio che ci si ritrova dentro per cui si può dire di qualcuno: «È buono», questa idea non potrebbe essere misurata, quantificata, e non si modificherebbe nel tempo. Quando da bambino guardavo mia madre «sentivo» - anche se non riflessamente - come era buona. «Mia madre è buona», dico adesso e, a parte la coscientizzazione diversa, approfondita, è la stessa idea di bontà a determinare la mia affermazione. Mi trovo assolutamente identico nel contenuto di coscienza della mia infanzia: non mutevole.
Non sarà mica questa polaroid, con su una faccia che si è scolorita, a cancellare la mano che mi ha tenuto in braccio.Yanez è in realtà Tiziano, il papà di Davide morto qualche anno fa. Il disco nasce dalla ricerca di quello che rimane da un'esperienza così dolorosa, che svela senza appello la caducità delle cose umane, e non risparmia quelle più care. La stessa canzone prima dice "quando il tempo finisce la benda, comincia a usare il curlasc" che sarebbe la roncola, il machete.
La tentazione di decapitare la tristezza col machete è forte quando si entra nella maturità: ricaviamo una nicchia, uno spazio per noi; ci attacchiamo alle cose che allietano, rassicurano, o distraggono e a tutto il resto, zac!, ci diamo un taglio.
Non è umano. Se riflettiamo sulla nostra esperienza genuina, profonda, scopriamo che il Bene è eterno, incorruttibile, indistruttibile. Ed è reale, ci ha raggiunto, prima di tutto attraverso chi ci ha messo al mondo e ci ha tirato su (l'usura del tempo non "scancella" la mano che mi ha tenuto in braccio). Questa Bontà non la perderemo mai. Con tutti i nostri limiti nel compierla (il rimpianto più doloroso quando ci lascia una persona cara è non averle voluto bene abbastanza, ma chi ne è capace con le sue forze?).
Essere padri vuol dire far tesoro di questa tristezza, farsene sommuovere riscoprendo ogni giorno il Bene che non muore e riprendere il cammino, perché gli altri Lo scoprano nel nostro sguardo, nel modo in cui trattiamo la realtà. Questa sollecitudine amorosa è il nutrimento, il respiro di una vita degna di essere vissuta sempre, in qualsiasi circostanza.
Un abbraccio forte a mio papà, Giuseppe, e a mia mamma, Carmelina.
E buona settimana a tutti voi.
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