Tecnicamente, ciò sarebbe realizzato applicando un fattore di correzione (balancing factor) pari a 76,19% sulle esposizioni ponderate per il rischio, in modo che si neutralizzi l'incremento del solvency ratio dall'attuale 8% al futuro 10,5%. Così facendo (cito):
sarebbe azzerato il rischio di riduzione del credito disponibile per la Pmi in questione.Le associazioni di rappresentanza fanno il loro mestiere. Se c'è un vincolo normativo che può legare le mani indiscriminatamente, si chiede di attenuarlo. Nessuna obiezione. Sicuramente i bravissimi dirigenti dell'ABI e i rappresentanti delle imprese sui temi di credito e finanza sanno bene che l'offerta di credito non si spiega con siffatti modelli primitivi che moltiplicano il capitale disponibile per un multiplo pari a 1 diviso il solvency ratio minimo di Vigilanza. Sanno perfettamente che per prevenire il razionamento del credito in questi tempi grami (vedi livello delle sofferenze riscontrato dalle analisi dell'ABI) bisogna fare manovre coraggiose e ardite sui bilanci delle banche e delle imprese: aumentare i patrimonio, risolvere le partite problematiche, ripristinare condizioni equilibrate di sviluppo dei volumi e dei margini.
Però quello che affiora nel dibattito tra imprese e banche, la punta dell'iceberg, è il modello di cui sopra, essenziale e suggestivo come un graffito della grotta di Cro-Magnon.
Lo dico col massimo rispetto: se non parliamo mai dell'iceberg, non c'è il rischio di ignorarlo, come i timonieri del Titanic?
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