Alessandro Penati oggi su Repubblica presenta in questo articolo un'analisi ad ampio raggio del sistema di finanziamento delle imprese in Italia. Parto dalla sua analisi per qualche considerazione personale sul tema. Penati denuncia l'assenza della riforma del sistema finanziario dall'agenda di tutte le formazioni politiche.
Il tema del credito si riduce a uno spunto polemico per accusare le banche di non finanziare le imprese per pavidità. Si invoca l'intervento dello Stato, per colmare il vuoto d'offerta (con la Cassa Depositi e Prestiti o nuove banche pubbliche). Le due liste più radicali (Movimento 5 stelle e Rivoluzione civile) premono molto sulla statalizzazione del credito. Per Grillo coi soldi tagliati alla spesa militare si deve creare una "Banca di Stato, sì una banca pubblica con un presidente della repubblica, nuovo, che fa da garante". Anche Ingroia twitta di voler "Creare banca pubblica dirottando parte prestito Bce a banche, diamo a 2% prestiti a famiglie e imprese". Sono proposte da stato di emergenza e/o autoritario, che trovano ascolto in tante persone strette nella morsa dei debiti impossibili da pagare.
Penati cerca di colmare questo vuoto di riflessione e di proposta, riempito dalla demagogia, partendo dalla diagnosi dei limiti strutturali della nostra rete di intermediazione.
Nel passivo delle imprese è minimo il peso dei titoli collocati e attivamente scambiati sui mercati finanziari. Fosse soltanto questo! Anche il canale bancario, che pure predomina tra quelli di mercato, appare "represso". Meno della metà delle risorse che finanziano le imprese passano dal sistema di intermediazione, più di metà infatti sono debiti di fornitura, fondo TFR, quote di controllo del capitale proprio.
In questa struttura tradizionale la crisi ha aperto delle crepe. Il calo del risparmio delle famiglie italiane, ha indebolito l'afflusso di raccolta diretta retail alle banche. La raccolta all'ingrosso va e viene, ed è ancora difficoltosa per le banche medio-piccole. Ha sopperito a inizio 2012, come si sa, il funding a medio termine presso la BCE, scadenza inizio 2015. Si parla però di un piano di rientro anticipato che potrebbe mettere in difficoltà le banche (minori): queste, in assenza di fonti di mercato sostitutive, dovrebbero tenersi i fondi da Francoforte, ma finirebbero marchiate con un negative stigma.
Vanno bene i mini-bond (meglio dei maxi-bond di Cirio e Parmalat). Va bene portare pacchetti di prestiti buoni sui mercati internazionali delle cartolarizzazioni. Mi sta bene che il deal flow delle start up che finanziano con venture capital le loro value propositions su piattaforme web 3.0 sia vibrant. Ma parlando come mangio dico alle imprese: se avete progetti validi, dovete pretendere un quadro normativo e un aiuto concreto per mettere soldi vostri nelle imprese. Nelle imprese vostre, e degli imprenditori che conoscete e di cui vi fidate. Ripartiamo da lì. Per crescita organica, vedrete che verranno dietro private equity istituzionale, mercati alternativi di Borsa, tutto il resto.
Il tema del credito si riduce a uno spunto polemico per accusare le banche di non finanziare le imprese per pavidità. Si invoca l'intervento dello Stato, per colmare il vuoto d'offerta (con la Cassa Depositi e Prestiti o nuove banche pubbliche). Le due liste più radicali (Movimento 5 stelle e Rivoluzione civile) premono molto sulla statalizzazione del credito. Per Grillo coi soldi tagliati alla spesa militare si deve creare una "Banca di Stato, sì una banca pubblica con un presidente della repubblica, nuovo, che fa da garante". Anche Ingroia twitta di voler "Creare banca pubblica dirottando parte prestito Bce a banche, diamo a 2% prestiti a famiglie e imprese". Sono proposte da stato di emergenza e/o autoritario, che trovano ascolto in tante persone strette nella morsa dei debiti impossibili da pagare.
Penati cerca di colmare questo vuoto di riflessione e di proposta, riempito dalla demagogia, partendo dalla diagnosi dei limiti strutturali della nostra rete di intermediazione.
Nel passivo delle imprese è minimo il peso dei titoli collocati e attivamente scambiati sui mercati finanziari. Fosse soltanto questo! Anche il canale bancario, che pure predomina tra quelli di mercato, appare "represso". Meno della metà delle risorse che finanziano le imprese passano dal sistema di intermediazione, più di metà infatti sono debiti di fornitura, fondo TFR, quote di controllo del capitale proprio.
In questa struttura tradizionale la crisi ha aperto delle crepe. Il calo del risparmio delle famiglie italiane, ha indebolito l'afflusso di raccolta diretta retail alle banche. La raccolta all'ingrosso va e viene, ed è ancora difficoltosa per le banche medio-piccole. Ha sopperito a inizio 2012, come si sa, il funding a medio termine presso la BCE, scadenza inizio 2015. Si parla però di un piano di rientro anticipato che potrebbe mettere in difficoltà le banche (minori): queste, in assenza di fonti di mercato sostitutive, dovrebbero tenersi i fondi da Francoforte, ma finirebbero marchiate con un negative stigma.
Le banche italiane lottano con tre streghe: deterioramento del credito, esposizione al rischio Italia sui titoli e gravame dei costi di strutture obsolete. Col calo dello spread sui bund la situazione si è assestata. Ma in quella situazione non si può restare a lungo, perché non ha margini di recupero e di ripresa. Va ripensato il modello di intermediazione, perché i volumi calano, i rischi restano alti, i margini sullo stock di crediti sono quelli (tirati) dei tempi buoni. Le banche non possono scaricare tutto sul costo dei servizi, o tirare in lungo con redditi miseri, magari tamponati da iniezioni di capitale pubblico.
La prospettiva, si diceva, è la disintermediazione delle banche. Penati dice che non ci si deve rassegnare quasi fosse sinonimo di declino, anzi. Occorre farne la leva di nuove strategie ...
sostenendo la creazione di un mercato del credito non bancario attraverso cartolarizzazioni, cessioni di prestiti, e co-finanziamenti di bond alle imprese.
però aggiunge, in tono più mesto:
Ma non ne hanno il coraggio, la determinazione, i mezzi. Forse neanche la capacità.Su con la vita! Lo dico prima di tutto agli amici che lavorano in banca. Vi dico io da dove ripartire: dalle imprese, imparate a guardarci dentro. E dico alle imprese: siate voi a guidare la ricerca di fonti alternative.
Vanno bene i mini-bond (meglio dei maxi-bond di Cirio e Parmalat). Va bene portare pacchetti di prestiti buoni sui mercati internazionali delle cartolarizzazioni. Mi sta bene che il deal flow delle start up che finanziano con venture capital le loro value propositions su piattaforme web 3.0 sia vibrant. Ma parlando come mangio dico alle imprese: se avete progetti validi, dovete pretendere un quadro normativo e un aiuto concreto per mettere soldi vostri nelle imprese. Nelle imprese vostre, e degli imprenditori che conoscete e di cui vi fidate. Ripartiamo da lì. Per crescita organica, vedrete che verranno dietro private equity istituzionale, mercati alternativi di Borsa, tutto il resto.
10 commenti:
Il problema è economico non finanziario.
I dati riportati dall'articolo non sono negativi. Il debito finanziario andrebbe nettato del credito e sparirebbe.
La quota di para-capitale è ottimale e smentisce la convinzione che le imprese italiane siano sottocapitalizzate. Forse lo sono quelle che vanno in banca. Non tutte ci vanno.
Le altre quote sono fisiologiche.
Con l'occasione vorrei tornare sulla vecchia questione che lo stato non paga. E' vero perché la PA ha passato più ordini di quanti potesse pagarne in base alle disponibilità. Nel futuro, per rispettare i vincoli temporali, passerà meno ordini, ed allora saranno problemi veri. Meglio un pagamento ritardato o nessun ordine?
Errata corrige: il debito commerciale (e non finanziario) andrebbe nettato del credito
Grazie Sapio di queste osservazioni. Sull'ultima aggiungerei che il debito commerciale di un'azienda è il credito di un'altra, ma che questa coppia di posizioni speculari è la base su cui si sviluppa una cospicua fetta del credito bancario a breve e di servizi di incasso e pagamento
Aggiungo: le cartolarizzazioni dei portafogli bancari sono della serie "pochi, maledetti e subito". Risultano vantaggiosi se la liquidità ottenuta viene reinvestita da un tasso risk adjusted superiore al precedente. Disintermediare le banche non è una buona idea e non è neanche fattibile.
Il problema è economico e nasce dalla scarsa produttività del sistema. Driver principale è l'inefficiente sistema giudiziario (mafia, corruzione), lentezza della giustizia civile. Chi volete voglia investire in un paese come questo? E' dalla giustizia che bisogna cominciare equilibrando le varie esigenze.
Su Italia Oggi c'è un articolo intitolato "Dimezzare i tempi del processo civile decisivo per la crescita" http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/getPDFarticolo.asp?currentArticle=1S5I1Z
Riporta una ricerca BdItalia sul tema.
Posta un commento