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domenica 9 febbraio 2014

Maxi-fondo di garanzia Pmi: dal convegno Assiom-Forex ripartono le grandi manovre delle grandi banche

Il tema delle Pmi strette nella morsa del credit crunch ha preso la ribalta del Convegno Assiom-Forex di ieri, dove il Governatore Visco ne ha diffusamente parlato in questa relazione.
I banchieri presenti hanno colto l'occasione per lanciare la proposta di un Fondo di garanzia Pmi potenziato che copra proporzionalmente (50%) e in via generalizzata i rischi del credito alle Pmi.

Lo spunto per rilanciare l'idea non è venuto dalla Banca d'Italia: al Forex Visco ha menzionato l'esperienza del Fondo centrale Pmi, non ha escluso "interventi più ambiziosi" per la gestione dei crediti deteriorati (subito tradotti dai media in "bad bank di sistema").
In realtà, i banchieri presenti al convegno hanno rilanciato una proposta di qualche mese fa, formulata da una think tank a nome Action Institute riformulata da Roberto Nicastro (DG di Unicredit) in questa audizione parlamentare.

Su quella linea, Luigi Abete, presidente di BNL, ha affermato (come ha ripreso il Sole 24 ore):
In questa nostra epoca, un'impresa-banca che rispetta parametri di prudente gestione ed economicità non può evidentemente finanziare diffusamente l'impresa piccola e medio-piccola, in un quadro concorrenziale globale rispetto a cui quella dimensione di impresa non ha, né può avere, una visibilità adeguata alle tendenze di mercato. 
In altre parole, ha detto che il sistema produttivo italiano ha una componente strutturale schiacciata dalla recessione e dalla competizione globale, incapace di reggere senza assistenza pubblica. Se si vuole che questo tipo di impresa abbia credito dalle banche italiane, lo Stato deve prendersi sistematicamente una parte del rischio. Come? Con una versione 2.0 del Fondo centrale di garanzia per le Pmi, capace di lavorare su volumi molto superiori agli attuali (e con imprese di taglia media più grossa). Abete parla di 10-15 miliardi di fondi pubblici per supportare 170 miliardi di credito alle Pmi garantito dallo Stato, che è l'ammontare complessivo delle linee fino a 2,5 milioni censite da Bankitalia. L'idea di qualche mese fa parlava di una struttura di supporto funded del rischio di prima perdita alimentata da fondi strutturali UE. Chi dovrebbe gestire il Fondo 2.0? Si vocifera di Cassa Depositi e Prestiti. Abete ha detto che in Francia (Paese della casa madre di BNL) lo Stato fa molto di più con azioni di questo tipo.
Anche Ghizzoni (AD di Unicredit) ha parlato di Fondo di garanzia come soluzione interessante, citando l'esperienza tedesca, aggiungendo:
Negli ultimi 6-7 anni il credito è cresciuto in doppia cifra, mentre il Pil è calato del 9%. Questo vuol dire, prima di tutto, che non è il credito che genera ripresa e, d'altra parte, che l'abbiamo concesso ad aziende che non avevano capacità di generare valore e crescita. Abbiamo affrontato la crisi non pronti, sia per quanto riguarda le banche sia per le imprese: la banche erano sottocapitalizzate, con un livello di liquidità non buono e molto sbilanciate su depositi e impieghi. Erano inefficienti e spesso facevano del credito come 'solo prodotto' a imprese piccole e spesso non aperte sui mercati internazionali.
Prima di commentare, aspetto che queste proposte di maxi-fondo assumano una formulazione compiuta. Nell'attesa, rinvio ai commenti che facevo in luglio sull'audizione di Nicastro.
Come hanno affermato Abete e Ghizzoni, la piccola impresa è destinata a essere pesantemente ridimensionata nell'accesso al credito perché è destino che perda spazio nel sistema produttivo nazionale, che non può sopravvivere con questa frammentazione anomala. Già dal 2009 c'è stata una pesante selezione naturale di piccole aziende nei settori legati alla domanda interna, ma la moria purtroppo non si arresta.
Quel tipo di clientela, nella misura in cui riesce a star sopra la linea di galleggiamento, vivrà soltanto di credito agevolato o garantito dalla mano pubblica. Quel credito lo erogheranno le banche con sistemi automatizzati interfacciati con le piattaforme di garanzia pubblica. 
Non sarà un sistema a costo zero per la collettività: serve comunque un impianto procedurale da far funzionare (e già oggi non costa poco), e soprattutto un tariffario di commissioni sussidiato rispetto al costo del rischio (come è l'attuale Fondo Pmi). Il flusso di perdite che potrà essere assorbito su quello stock sarà a carico dello Stato, può darsi che il presidio di equity da fondi strutturali ne assorba una larga parte, ma se il disegno parte dall'idea di sistemare uno stock di debito aziendale "concesso ad aziende che non avevano capacità di generare valore e crescita (Ghizzoni)", allora aspettiamoci un tasso di perdita potenziale anche superiore a quelli che abbiamo osservato negli anni più bui dopo il 2008.
L'avevo già affermato e lo ribadisco: il sistema bancario (in ispecie i suoi big) con questa proposta presenta il conto delle varie moratorie degli ultimi anni. Dice, sedendosi a tavola "facciamo alla romana, 50/50" e speriamo che il conto non sia troppo caro, anzi, che l'osteria della recessione ci faccia uno sconto. Sì, perché il Fondo 2.0 potrebbe avere (secondo i fautori) un forte effetto anti-ciclico, per cui grazie a questa iniezione di credito addizionale l'economia ripartirà e molti fallimenti saranno evitati. Forse, però, da come se ne sta parlando, si vede di più lo scopo di dare sollievo alle banche.
La proposta del maxi-fondo sembra collocarsi in uno scenario nel quale ci sarà selezione e consolidamento tra le banche. Fuori del ristretto gruppo delle maggiori, molte banche territoriali sono in difficoltà, alcune in crisi conclamata, molte con patrimoni assottigliati, ancora di più quelle dipendenti dal rifinanziamento BCE per il funding e l'ossigeno al conto economico. Si ridurrà la capacità di offerta dei prestatori naturalmente orientati al mercato locale degli impieghi. Di qui la necessità di attrarre le banche maggiori con incentivi specifici a favore del credito alle Pmi.
Anche tra i confidi la selezione è già cominciata. I piani di ricapitalizzazione con sussidio del Fondo centrale possono entrare (se mal gestiti) in questo conto alla romana a copertura del superlavoro (ingrato) fatto nel 2009-2010 a supporto delle banche e delle azioni anti-crisi dello Stato e delle Regioni. Non servirà ad evitare il collasso degli enti di garanzia più provati, che non ritroveranno capacità di sviluppo, al massimo un supplemento di sopravvivenza.

I big bancari si muovono, hanno degli obiettivi, una strategia. Della proposta di maxi-fondo non do una lettura negativa, o maliziosa: le banche partono dai loro problemi e dicono "per come lavoriamo, per i vincoli di vigilanza, per la pressione di un mercato internazionale dove i nostri competitor stanno meglio di noi (anche perché gli Stati li hanno aiutati di più), noi possiamo finanziare le Pmi a queste condizioni". Non è una strategia esaltante, e nemmeno irresistibile. Molto probabilmente andrà a sbattere contro il problema dei problemi: l'incapacità del bilancio pubblico italiano di prendersi passività potenziali così massicce. D'accordo che le garanzie emesse non fanno subito deficit, ma quelle escusse sì, e alla nostra Ragioneria generale, dove pare ci siano dirigenti partenopei, non si vede bene una botta futura di escussioni che costringa a fare tagli drammatici di spesa strutturale.
Senz'altro ci sono strategie migliori, più complete, meglio eseguibili: quella ideale vede un sistema produttivo dove si riduce la componente bisognosa di assistenzialismo (tagliando tasse e burocrazia), un sistema bancario e di garanzia che selezionano e soprattuto supervisionano bene il credito, mercati finanziari che crescono e riducono il carico di lavoro delle banche portando la domanda di capitali di imprese che si aprono su altri mercati.
I confidi in questa contesa hanno un compito obbligato: difendere la piccola impresa. Ma non possono più limitarsi a farlo in chiave difensiva, di fatto chiedendo di prorogare l'era delle moratorie e di coprire nel frattempo i loro costi di struttura a piè di lista, come se fossero i servizi sociali. E' una strada senza uscita.
La Legge di stabilità era solo un assaggio. Apparentemente, là i confidi hanno vinto la battaglia. Beh, hanno difeso alcuni magazzini, ma altri fondi sono finiti in forzieri di cui non hanno le chiavi. Se il sistema confidi si ferma a quel livello di proposta (e non parliamo delle inutili buone parole del nuovo disegno di legge delega al governo), non c'è storia: sopravviverà, magari per diversi anni, in una nicchia del nuovo sistema di credito sussidiato, alla mercé di tanti partner più forti, che potrebbero decidere di scaricarlo da un momento all'altro.
I confidi possono vincere soltanto portando più realismo, più coraggio, più senso del bene comune, più creatività, più attenzione ai dettagli (che sono i costi umani e sociali della "soluzione" delle crisi). Ricordiamo che quando le banche si concentrano, e tendenzialmente servono meno attentamente i clienti piccoli, si aprono spazi enormi per nuove figure di intermediari. Leggete questo post di Fabio Bolognini sulla Lloyd's Bank: la banca britannica ha deciso di buttare fuori dalla filiali le piccole imprese che le generano meno di 5.000 sterline annue di margine. E dove vanno clienti? Da altre banche, forse. E se tutti prendono quella strada? I piccoli parleranno soltanto con un call center. O con un consulente - mediatore - intermediario che gestirà in banca le relazioni di un portafoglio di clienti.
I confidi possono continuare a fare questo lavoro di collegamento tra piccoli imprenditori e grandi banche, ma devono essere bravi, efficienti, e realmente capaci di monitorare i rischi meglio delle banche. Soltanto così potranno difendere il loro ruolo di punto di accesso alla garanzia pubblica.
Da anni cerco di suggerire cose da fare per tradurre i suddetti valori in pratica. Le rappresentanze del sistema propugnano gli stessi valori, ma li traducono in piani operativi che di operativo hanno ben poco. Non è colpa loro: come si fa a guidare un esercito male armato, con uniformi multicolori (e qualche descamisado), col morale sotto i tacchi e tenuto insieme da un fascio di urgenze, interessi, ambizioni, confusamente percepite e spesso in contrasto?
Nel sistema confidi deve nascere un soggetto nuovo, una leadership alternativa. Può nascere soltanto dal basso, dal livello operativo, là dove si sono formati dei giovani competenti, aperti al nuovo, capaci di progettare e prendersi i rischi. Ma ci sono? Qualcuno, forse. Che escano allo scoperto.
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5 commenti:

VecchioAnarchico ha detto...

Caro prof., questa cosa di Abete l'ho pensata anch'io (con uno schema, pero', meno 'sfacciato' ... mi passi il termine) circa 6 mesi fa e senza l'aiuto di think tank (thinko da solo, dato che peso come un tank). Ho testimoni che possono confermare. Vale qualcosa ?

VecchioAnarchico ha detto...

La differenza e' che, non avendo accesso al bilancio dello Stato, io mi muovo su cifre più modeste ...

Anonimo ha detto...

...vale come minimo una vice-presidenza di primario gruppo bancario! A parte gli scherzi, mi piacerebbe conoscerla la tua proposta

Marco Paz ha detto...

Caro Prof. penso che una strada ci sia:
- Un progetto da Start-up, un nuovo modello di Confidi che attraverso il connubio garanzia/agevolato/consulenza possa remunerare in un business plann gli investitori che investono in questo nuovo modello.
- Sarei disposto a scommetterci, ma solo con "nuove menti"

VecchioAnarchico ha detto...

Lo faro' privatamente appena posso (non e' poi così complessa) ..tutto ruota intorno al tema 'automaticità' (come lo definisce Abete) che io invece declino con un più soft "mutualità e solidarietà" ..ma poi, alla fine, il risultato e' lo stesso.