Segnalo due articoli che mi hanno fatto riflettere oggi sul futuro delle banche italiane. Il primo, di Giovanni Pons, è uscito su Repubblica-Affari & finanza titola "Unicredit, tolta la diga Profumo le fondazioni vogliono tutto". Il secondo, di Gianni Credit (firma del Sussidiario.net), ragiona delle "nuove banche che piacciono alla Lega".
Le tesi e i toni dei due articoli sono dissonanti, ma la questione posta è la medesima: quella dei soggetti "pubblici" che vogliono contare di più nelle banche, e che vogliono banche più funzionali agli interessi economici dei territori. Secondo Pons, nel caso di Unicredit le fondazioni azioniste premono per spostare il focus strategico sull'Italia e sull'attività di local banking, a scapito della presenza internazionale e dell'investment banking. La Lega Nord, sottolinea l'altro articolo, rivendica competenze regionali in materia di credito e questo disegno si salda con i progetti di ispirazione governativa (nuova Cassa DD.PP., Banca del Sud) tesi a rinsaldare alleanze tra i soggetti pubblici, le fondazioni e comparti del sistema bancario (come il credito cooperativo) non contendibili dal mercato finanziario.
Non voglio allargare il dibattito a temi troppo vasti per aleablog, che lascio ad arene più qualificate. Mi limito ad osservare alcune cose:
- il modello italiano di banca territoriale ha retto meglio alla prima ondata della crisi, perché ha tenuto lontani i rischi; ora mostra segni di affaticamento; è un modello che deve essere aggiornato, e deve fare i conti con l'imperativo dell'internazionalizzazione;
- che i governi (al centro e nelle regioni) vogliano leve importanti per muovere il credito non è in sé sbagliato; il buon uso di queste leve richiede però intelligenza tecnica dei banchieri "pubblici" e autolimitazione degli interessi di breve dei politici; mi chiedo se ci sono nella quantità e qualità necessarie;
- le banche pubbliche, in senso lato, vivono di una dotazione di capitale ereditata dal passato, e della capacità di alimentarla principalmente con gli utili non distribuiti; se questa non basta deve intervenire lo Stato, o si è costretti a vendere sul mercato finanziario; nei disegni di consolidamento domestico e collegamento organico con le politiche di sviluppo territoriale si dà per scontato che il patrimonio sia un pozzo di san Patrizio, ma in realtà è un serbatoio che deve ogni tanto essere riempito per non restare a piedi.
Luca
3 commenti:
"5.- Accentramento del credito in mano dello Stato mediante una banca nazionale con capitale dello Stato e monopolio esclusivo"
Marx & Engels, Il manifesto del partito comunista, 1848, cap. 2
evviva evviva, finalmente la dittatura del proletariato in salsa leghista......
Almeno nelle banche potremo riciclare le splendide tutine cinesi a cui tanto ci eravamo affezionati da piccoli (quando Craxi nei mitici anni '80 ci fece conoscere la Cina da vicino oltre che i cognati) e che adesso neanche nell'Assemblea Nazionale del Popolo si vedono più. Forse Profumo l'hanno mandato via per questo, non c'erano tutine per lui, grande com'era (nel senso di alto).
Il Trota o chi per lui al vertice di qualche Banca è un'ipotesi tragicomica. I cosiddetti banchieri pubblici equivalgono all'ennesimo assalto alla diligenza della nostra "illuminata" classe politica. Forse hanno pensato che siccome grazie a loro non c'è più un euro nelle casse dello Stato si cambia direzione e si aprono i forzieri delle Banche.
@ excelsus: ...magari passando prima dai confidi..... ; e sempre sperando di trovare euri e non buchi....
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