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sabato 24 settembre 2011

Economist: tassare i ricchi, ma con giudizio

La Buffet rule, dal nome del finanziere americano che si è offerto di fare la sua parte per ridurre il deficit federale, è molto semplice: i super ricchi paghino sul loro reddito personale un'aliquota media effettiva non inferiore a quella dello loro segretarie. Attualmente non è così. Lo fa notare questo articolo dell'Economist.

Il newpaper inglese vede malissimo le addizionali sugli scaglioni più alti di imponibile personale, mal digerite e facili da eludere. Le vere cause del paradosso di Buffet sono altre. Negli USA, la massa di deduzioni, esenzioni e agevolazioni va a beneficio dei più facoltosi. In tutto il mondo, i proprietari di imprese e altri asset giocano sulla tassazione più lieve dei redditi da capitale (specie sui capital gain) rispetto a quelli da lavoro. Ci sono poi, ovviamente, le forme di elusione ed evasione. Il modo giusto di tassare i ricchi sarebbe quello di sfrondare i regimi di favore (come cerca di fare anche il nostro Governo), e soprattutto di equiparare le aliquote su redditi di lavoro (dipendente, professionale o d'impresa) e di capitale. Eliminando la doppia tassazione dei redditi societari (da noi l'IRES, per intenderci). Semplificando il sistema, abbassando tutte le aliquote, e aumentando il gettito dai contribuenti più facoltosi.
In effetti l'attuale regime consente arbitraggi. In uno dei casi seguiti dal nostro Laboratorio di pianificazione finanziaria, mi sono meravigliato di non trovare in una srl familiare alcuna voce di compenso amministratori. Il bravo consulente che ha seguito la riorganizzazione del gruppo di società della famiglia mi ha spiegato che i soci prelevano il compenso che gli spetta dalla holding nella forma di incasso rateizzato di un credito. Tale credito si è formato al conferimento nella holding delle quote delle srl operative (come quella in cui non trovavo i prelievi), che ha generato una forte plusvalenza a vantaggio dei soci conferenti, ovviamente non pagata subito dalla conferitaria. La plusvalenza è tassata ad aliquote IRPEF solo per il 49,72% del suo importo (percentuale imponibile dei capital gain su partecipazioni qualificate), quindi meno di un compenso amministratore o di un reddito societario distribuito o tassato per trasparenza. La convenienza è netta, e anche la piccola impresa familiare ha costruito una struttura del tutto regolare per sfruttarla.
Chissà se la commissione di saggi che sta studiando da mesi il big bang della riforma fiscale sta coltivando idee simili a quelle espresse dall'Economist. Stampa questo post

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