Le dimissioni di Bob Diamond, CEO del gruppo Barclays sono la news di apertura del Financial Times online. Diamond lascia pressato dall'opinione pubblica e dal governo britannico, per il clamore suscitato dallo scandalo del Libor.
Pare che un club di banche globali si sia data un aiutino per far uscire cifre compiacenti rispetto al rischio di credito percepito dal mercato (LIBOR più bassi, che sottostimavano il rischio banca). I tassi Libor, rilevati dalla British Bankers' Association, pilotano la formazione delle condizioni su centinaia di migliaia di miliardi di crediti e derivati (pensiamo a IRS, swaption, cap, floor, future su eurodepositi, prestiti sindacati, ecc.): magari gli scambi di telefonate hanno azionato favori reciproci, dato che pochi punti basi di differenza del fixing possono significare spostamenti miliardari dei payoff.
Diamond si è difeso dicendo che è stata la Bank of England a fare pressione ("giù i tassi!") affinché non emergessero le tensioni che dal dopo crisi puntualmente hanno agitato i mercati monetari. Saranno vere tutte e due le cose: siamo in una strana situazione dove il palco è sorretto dalle banche centrali, che di fatto sono diventate loro il mercato all'ingrosso (sui generis) della liquidità. Operano nelle due direzioni, a tassi amministrati, per importi quasi illimitati. In questo ecosistema si fanno ottimi affari col trading, su posizioni finanziate a tassi irrisori. Se poi ci di dà una manina tra colleghi a ricamare la coperta che ha mantenuto le sembianze di un mercato, l'ingranaggio gira più fluido.
Le dimissioni di Diamond, che Barclays ha fatto il possibile per evitare, sono un segnale che va oltre il fatto in sé: possono indicare un cambio di modello. Diamond è un caso illustre di investment banker giunto al vertice di un grande gruppo, forte anche nel retail. Nell'era delle finanza sofisticata (nel senso di complessa e e viziata) soltanto personaggi con quella formazione potevano capire i mercati dove si facevano i grossi utili appetiti dagli azionisti. Oggi tutto è cambiato, o forse si è superato il limite di sopportazione di quel modello da parte dell'opinione pubblica. Prima della crisi ha mietuto utili su rischi presi irresponsabilmente. Dopo la crisi ha ricostruito il capitale con utili prodotti artificialmente col denaro a costo minimo, senza perdere il vizio delle scommesse azzardate. Gli stipendi e i bonus sono sempre a livelli oltraggiosi. Nel Regno Unito la gente sa parecchio di banche, è l'industria nazionale. E la gente, che ha seguito le vicende, è incazzata nera.
Torneranno forse in auge i banchieri tediosi di un tempo, che fanno funzionare in sicurezza un provider di servizi di pubblica utilità.
C'è però un rischio. Nel commentare le dimissioni di Diamond, il ministro Osborne ha applaudito al ritorno della banca che si concentra sul sostegno all'economia. Speriamo di non cadere dalla padella del trading a vincita facile nella brace del credito dispensato con criteri politici. Tutti e due presentano il conto al contribuente, prima o poi.
Pare che un club di banche globali si sia data un aiutino per far uscire cifre compiacenti rispetto al rischio di credito percepito dal mercato (LIBOR più bassi, che sottostimavano il rischio banca). I tassi Libor, rilevati dalla British Bankers' Association, pilotano la formazione delle condizioni su centinaia di migliaia di miliardi di crediti e derivati (pensiamo a IRS, swaption, cap, floor, future su eurodepositi, prestiti sindacati, ecc.): magari gli scambi di telefonate hanno azionato favori reciproci, dato che pochi punti basi di differenza del fixing possono significare spostamenti miliardari dei payoff.
Diamond si è difeso dicendo che è stata la Bank of England a fare pressione ("giù i tassi!") affinché non emergessero le tensioni che dal dopo crisi puntualmente hanno agitato i mercati monetari. Saranno vere tutte e due le cose: siamo in una strana situazione dove il palco è sorretto dalle banche centrali, che di fatto sono diventate loro il mercato all'ingrosso (sui generis) della liquidità. Operano nelle due direzioni, a tassi amministrati, per importi quasi illimitati. In questo ecosistema si fanno ottimi affari col trading, su posizioni finanziate a tassi irrisori. Se poi ci di dà una manina tra colleghi a ricamare la coperta che ha mantenuto le sembianze di un mercato, l'ingranaggio gira più fluido.
Le dimissioni di Diamond, che Barclays ha fatto il possibile per evitare, sono un segnale che va oltre il fatto in sé: possono indicare un cambio di modello. Diamond è un caso illustre di investment banker giunto al vertice di un grande gruppo, forte anche nel retail. Nell'era delle finanza sofisticata (nel senso di complessa e e viziata) soltanto personaggi con quella formazione potevano capire i mercati dove si facevano i grossi utili appetiti dagli azionisti. Oggi tutto è cambiato, o forse si è superato il limite di sopportazione di quel modello da parte dell'opinione pubblica. Prima della crisi ha mietuto utili su rischi presi irresponsabilmente. Dopo la crisi ha ricostruito il capitale con utili prodotti artificialmente col denaro a costo minimo, senza perdere il vizio delle scommesse azzardate. Gli stipendi e i bonus sono sempre a livelli oltraggiosi. Nel Regno Unito la gente sa parecchio di banche, è l'industria nazionale. E la gente, che ha seguito le vicende, è incazzata nera.
Torneranno forse in auge i banchieri tediosi di un tempo, che fanno funzionare in sicurezza un provider di servizi di pubblica utilità.
C'è però un rischio. Nel commentare le dimissioni di Diamond, il ministro Osborne ha applaudito al ritorno della banca che si concentra sul sostegno all'economia. Speriamo di non cadere dalla padella del trading a vincita facile nella brace del credito dispensato con criteri politici. Tutti e due presentano il conto al contribuente, prima o poi.
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