Segnalo l'intervento di Luigi Signorini, Direttore centrale per la Vigilanza della Banca d'Italia, alla 44a Giornata del credito, dal titolo Banche e imprese nella crisi. Cito dall'introduzione un passaggio stimolante:
La crisi, è noto, non ha avuto inizialmente impatti traumatici in Italia. Le banche italiane hanno corso rischi seri per la contrazione del funding all'ingrosso, e i conseguenti problemi di liquidità. La BCE li ha contrastati efficacemente col rifinanziamento a 3 anni, e anche i bond bancari dei grandi gruppi hanno ritrovato spazio presso gli investitori internazionali. L'accesso alla BCE è diventato lo snodo dell'equilibrio economico (costo di funding) e di liquidità delle banche di molti paesi europei. Le nostre banche non sono le meglio attrezzate perché una parte robusta degli impieghi (il 28 per cento!) è erogata come affidamento in conto corrente, e non è quindi trasformabile in collateral idoneo per la BCE. Oltre a comportare rischio di liquidità per le banche (tranne i casi in cui il fido è immobilizzato sul livello massimo, dove il rischio è già quello di incaglio ...). Interessante, non ci avevo pensato. Correggere questo peso eccessivo dei fidi in c/c richiede dal lato delle aziende una più attenta gestione della cassa in chiave previsionale.
L'altro problema è il peggioramento della qualità del credito. E' un problema che non si può nascondere, sottolinea Signorini. La Banca d'Italia sorveglia attentamente la banche, e risulta che non ci sono casi diffusi di evergreening, ovvero di imprese mantenute in rianimazione con credito probabilmente non recuperabile. Non mancano tuttavia elementi di attenzione.
Dalle conclusioni, traggo una raccomandazione alle imprese ...
Il modello di banca all'italiana non deve essere stravolto, ma adeguato. Occorre completare l'offerta con servizi volti al riequilibrio della finanza d'impresa. Forse Signorini intende l'attivazione di forme di finanziamento diretto, da privati a imprese, e da impresa a impresa, che abbiano standard di tutela degli investitori e di chiarezza contrattuale migliori di quelli odierni. Il che è possibile con un'assistenza capillare e competente da parte delle banche. O di nuovi soggetti (consulenti e intermediari). Per arrivare prima o poi al collocamento di titoli sul mercato mobiliare.
Perfettamente d'accordo.
Ci vuole un grande coraggio, uno spirito missionario, per affrontare questa lunga marcia, banche e imprese insieme.
Se in condizioni normali il rapporto tra banche e imprese è, fisiologicamente, dialettico, in tempi di crisi esso corre il rischio di divenire conflittuale. Il rischio di innescare circoli viziosi è alto; sventarlo è una priorità. Non è un compito agevole e non vi sono facili scorciatoie; allentare gli standard creditizi può mettere a repentaglio la robustezza patrimoniale delle banche e non giova, alla lunga, a nessuno. Per questo l’attenta, preveggente gestione del credito, della liquidità e del patrimonio sono, in tempi di crisi, ancora più importanti che in tempi normali. La sfida è seria per tutti: per le imprese; per le banche; e, consentitemi di aggiungere, anche per le stesse autorità di vigilanza.La relazione riassume il percorso prima della crisi e l'impatto di quest'ultima. Il credito facile prima del 2008 ha prodotto una crescita del leverage aziendale (debiti saliti dal 32 al 40 per cento del valore di mercato del patrimonio aziendale). La crisi ha indotto le banche a selezionare il credito con rigore. Non hanno avuto problemi di razionamento le aziende con bilanci più solidi, mentre le aziende più indebitate (e con margini di redditività ristretti anche dal peso degli interessi) hanno fatto più fatica, anche quelle con buon potenziale di crescita ed esportazione.
La crisi, è noto, non ha avuto inizialmente impatti traumatici in Italia. Le banche italiane hanno corso rischi seri per la contrazione del funding all'ingrosso, e i conseguenti problemi di liquidità. La BCE li ha contrastati efficacemente col rifinanziamento a 3 anni, e anche i bond bancari dei grandi gruppi hanno ritrovato spazio presso gli investitori internazionali. L'accesso alla BCE è diventato lo snodo dell'equilibrio economico (costo di funding) e di liquidità delle banche di molti paesi europei. Le nostre banche non sono le meglio attrezzate perché una parte robusta degli impieghi (il 28 per cento!) è erogata come affidamento in conto corrente, e non è quindi trasformabile in collateral idoneo per la BCE. Oltre a comportare rischio di liquidità per le banche (tranne i casi in cui il fido è immobilizzato sul livello massimo, dove il rischio è già quello di incaglio ...). Interessante, non ci avevo pensato. Correggere questo peso eccessivo dei fidi in c/c richiede dal lato delle aziende una più attenta gestione della cassa in chiave previsionale.
L'altro problema è il peggioramento della qualità del credito. E' un problema che non si può nascondere, sottolinea Signorini. La Banca d'Italia sorveglia attentamente la banche, e risulta che non ci sono casi diffusi di evergreening, ovvero di imprese mantenute in rianimazione con credito probabilmente non recuperabile. Non mancano tuttavia elementi di attenzione.
Dalle conclusioni, traggo una raccomandazione alle imprese ...
La crescita delle imprese italiane, soprattutto delle PMI, la loro capacità di innovare e operare su mercati sempre più globali richiede anche un’azione di riequilibrio dei bilanci, ancora troppo poco patrimonializzati e orientati al debito bancario a breve termine. Ciò richiede necessariamente strutture finanziarie più diversificate e stabili, nelle quali sia più forte il contributo del capitale, più lunghe le scadenze del debito.... e una correlata, e più specifica, alle banche:
È necessario recuperare livelli redditività adeguati per irrobustire il patrimonio, anche con una lotta senza quartiere a tutte le fonti di costi ingiustificati e di inefficienza operativa; occorre mantenere i prestiti in linea con le risorse che si è in grado di raccogliere presso i risparmiatori. Strategie in cui la capacità di generare reddito è legata esclusivamente all’espansione dei volumi intermediati non bastano più, spesso non sono neppure praticabili. Non si tratta di stravolgere un modello ma di adeguarlo. L’attività tradizionale di prestito, che resterà centrale, deve trovare un complemento nell’offerta di una più ampia gamma di servizi coerenti con un riequilibrio della finanza d’impresa.
Il modello di banca all'italiana non deve essere stravolto, ma adeguato. Occorre completare l'offerta con servizi volti al riequilibrio della finanza d'impresa. Forse Signorini intende l'attivazione di forme di finanziamento diretto, da privati a imprese, e da impresa a impresa, che abbiano standard di tutela degli investitori e di chiarezza contrattuale migliori di quelli odierni. Il che è possibile con un'assistenza capillare e competente da parte delle banche. O di nuovi soggetti (consulenti e intermediari). Per arrivare prima o poi al collocamento di titoli sul mercato mobiliare.
Perfettamente d'accordo.
Ci vuole un grande coraggio, uno spirito missionario, per affrontare questa lunga marcia, banche e imprese insieme.
5 commenti:
Signorini sei grande!!
Ciao Luca,
il tema dei fidi di c/c usati per finalità improprie, ossia in modo anelastico, per fronteggiare fabbisogni finanziari durevoli è stato sviscerato da molti anni.
In effetti, in contesti economici stabili, il ricorso al fido di cassa in luogo di mutui a medio/lungo termine poteva avere una sua giustificazione: fungeva da "capitale paziente", formalmente con vincolo di restituzione "a revoca" ossia con preavviso di pochi giorni, ma nei fatti permanentemente vincolato fra le fonti dell'impresa: ciò che importava era il pagamento degli interessi. Una parte della stessa dottrina economica aziendale, discettando di analisi di bilancio, contestava la riclassificazione fra le passività correnti di tali affidamenti in c/c.
Oggi, con la crisi, la prassi tende a riconciliarsi con la dottrina "classica" e i fidi di c/c sono anche sostanzialmente "a revoca".
Il loro largo impiego passato si spiega con la logica del multiaffidamento bancario, secondo un'ottica assicurativa e non relazionale fra banca e impresa.
Il fabbisogno è di 100? Lo si copre con 5 fidi di c/c da 20 cadauno, rispettivamente accesi presso 5 banche diverse.
Oggi, si deve "consolidare" tali fidi, definiti in gergo, fidi "inchiodati". I tempi di rientro proposti sono però troppo stretti e l'impresa non ce la fa a restituire rate che inglobano interessi alti e connessa quota capitale.
Chi ha fatto queste operazioni nel passato, in tempi di interessi bassi, sia come Euribor che come spread, è stato lungimirante.
Oggi le operazioni di consolidamento, con margini reddituali delle imprese in forte calo e spread applicati ai mutui alti, sono molto rischiose, a meno che i tempi di rientro non siano lunghi (generalizzo: dai 5 ai 7 anni almeno, per i finanziamenti chirografi).
Jaures
@Jaures: grazie del chiarissimo contributo; hai davvero una conoscenza profonda della finanza delle Pmi
@ Jaures, condivido.
Lontano 1996 prime occasioni di approfondimento sull'accesso al credito delle Pmi ..... la famosa torta con uno spicchio piccolissimo del medio termine e il resto breve. Lungo ? Sotto la torta, non si vedeva. Adesso le banche rivogliono quella torta e hanno ridotto i chirografari a 60 mesi snza deroga e non fanno piu' mutui. Il credito ormai sta' dinetando spray ....
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