Nel supermercato Lidl di via Maccani a Trento, la colletta alimentare ha raccolto 560 Kg di alimenti, poco più della metà dello scorso anno. Gentili visitatori, come capo-équipe mi sono interrogato sulle ragioni di questo apparente insuccesso, e desidero farvi partecipi delle mie riflessioni.
La colletta funziona così: due o tre persone all'ingresso del punto vendita propongono di aggiungere alla spesa olio e scatolame destinati a persone e famiglie in difficoltà, assistite dalla rete del Banco Alimentare. Se qualcuno dà cenno di interesse, gli si consegna un sacchetto giallo che, riempito degli alimenti offerti, viene poi ritirato dopo le casse, prima dell'uscita. Quanto raccolto viene riposto in scatole di cartone, pesato e inviato al magazzino del Banco.
Forse è capitato ad alcuni di essere "abbordati" dai volontari della Colletta. Al Lidl l'abbordaggio è più difficile. Non si riesce in due battute a spiegare cosa si propone - e perché - ai molti che non sanno l'italiano. Pure molte sono le persone che non se la sentono di donare per il bisogno altrui, visto che di bisogno ne hanno già abbastanza a casa loro.
La Colletta non vuole essere una forma efficiente di fund raising, è un gesto educativo per chi lo propone e per chi vi aderisce. L'anno scorso ne ero più cosciente e, non senza timidezza, desideravo stare lì dove se ne comunicava il valore, cioè all'ingresso. Quest'anno ho delegato l'opera di comunicazione al resto dell'equipe, e si sono tutti prodigati. La squadra era ben assortita: dalle 9 alle 11 due scienziati (Marco, ordinario di fisica teorica, e Francesco, dottorando di fisica), dalle 11 alle 13.30 Eleonora (la conoscete, è la nostra esperta di cartolarizzazione) col fidanzato Paolo e Fabio, dottorando di economia. Dalle 14.30 Herdos, un mio studente camerunese, a cui si sono aggiunti dalle 15 la maestra elementare Silvia con un gruppo di ragazzine e ragazzini delle medie (brave le femmine, i maschi in piena "stüpidéra", come si dice a Milano). Dalle 17.30 è subentrato Sokòl, un padre di famiglia albanese che si è laureato con me, e con lui Myriam, Marta e Feven, tre graziose ragazze eritree, matricole di ingegneria.
Tornando a casa la sera, confrontando l'impegno profuso con i risultati più magri delle attese, ho capito in che cosa sono mancato, e mi sono ripromesso di curarlo meglio l'anno prossimo. Innanzitutto è bene che metta più tempo e attenzione nell'invito, personale, ai volontari dell'equipe, per sottolineare che ci tengo a fare questa esperienza e a condividerla con loro. In secondo luogo, potrei condividere la responsabilità di capo-equipe, valorizzando Sokol, che è entrato con grande disponibilità e attenzione nel gesto.
Non è detto che raccoglieremo il doppio di quest'anno, potrebbe andare peggio. Ma ci saremo, da protagonisti, come pure quest'anno era mia intenzione, con tutti i limiti. Essere lì ha valore, non possiamo immaginare che cosa può ridestarsi nel cuore di chi viene sfiorato da un gesto di questo tipo, per quanto piccolo.
Sta qui la genialità dell'educazione alla carità come la intende Don Giussani: compiere con fedeltà un gesto concreto di aiuto al bisogno di altri uomini. Uno all'inizio lo fa per curiosità o per l'esigenza spontanea di fare del bene agli altri, ma presto si accorge che l'impegno più generoso è una goccia nel mare del bisogno delle persone a cui vorremmo portare aiuto, e avverte una radicale impotenza. A questo punto, restando fedeli al gesto, si capisce cosa realmente vale: non tanto aggredire la situazione di bisogno per eliminarla, ma piuttosto condividere la vita delle persone che in quella situazione incontriamo, persone che, come noi, portano in sé un'esigenza di bene, di pienezza, che nemmeno il mondo intero riuscirebbe a colmare.
La Risposta al bisogno infinito esiste, ed è sperimentabile: da questa consapevolezza nasce e si alimenta la capacità di donare. Compiendo un gesto di carità, per quanto piccolo e impacciato, siamo in presa diretta con un'energia inesauribile che investe la nostra vita e, tramite noi, si offre agli altri. Il senso di impotenza è travolto da una reazione a catena che mobilita tutta l'umanità di chi ne è toccato, e lo fa cento volte più attento, fedele, acuto, capace di costruire, pur senza eliminare la fatica, la stanchezza, la delusione, che sono combattute quotidianamente con l'energia di questa riscoperta.
Non dico queste cose per consolarmi con riflessioni etiche della mia pochezza come food-raiser. Ho voluto soltanto raccontare quello che ho (re)imparato nell'esperienza della Colletta alimentare. Torno quindi più lieto ad affrontare i miei primi e maggiori interessi: la fine dei corsi, i progetti, le necessità familiari, tutto il resto.
Luca
1 commento:
Caro Luca,
se aderendo all'iniziativa, ci siamo potuti ri-accorgere della ragionevolezza del gesto di carità che è la Colletta Alimentare, questo è già una novità.
Quello che mi stupiva durante il turno era la semplicità con cui tante persone dall'aspetto umile (tra cui tanti extra-comunitari) non hanno rifiutato di dare un piccolo aiuto anche se era evidente che non "navigavano" in situazioni economiche agiate.
Questo può lasciarci indifferenti, come esito "automatico" del nostro impegno?
E' un fatto totalmente sotto il nostro controllo, la nostra buona volontà o le nostre capacità?
Non credo, o meglio credo che sia stato indispensabile un nostro coinvolgimento (a cui non dovremmo mai smettere di invitarci), ma penso che vada ben oltre.
Come dici bene te, nel gesto di "donare" (il mio tempo per un turno, un pacco di pasta, o una confezione di tonno) ad un altro, mi ri-accorgo del mio bisogno, che niente di finito può colmare.
Grazie Luca per la proposta che ci hai fatto, e per averci dato la possibilità di condividerla in maniera semplice ed ordinata insieme.
Fabio.
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