Noto con piacere che la discussione sui post in materia di confidi è sempre vivace, con molti interventi lucidi e, fatto importante, una convergenza sulla diagnosi dei problemi pur mantenendo opinioni diverse sulle priorità e sulle soluzioni.
I confidi non hanno davanti a sé una strada piana e ben tracciata. Prima di tutto, l'eterogeneità nel settore si accentua. Alle note differenze di dimensione, ambiti settoriali e territoriali, forza del legame con le associazioni d'impresa, accesso a fondi pubblici, si sono aggiunte due ulteriori linee discriminanti: quella tra vigilati e non vigilati, e quella tra solvibili e pericolanti. Linee non sempre nette, che però producono un'eterogeneità ancora più marcata di situazioni.
Non ripeto quello che Sapio, Excelsus, Andrea e altri abituali frequentatori del blog (che sarebbe lungo citare) ribadiscono nei loro graditi interventi. Aggiungo alcuni spunti di riflessione:
- c'è un disperato bisogno di bancabilità per le Pmi che hanno conti dissestati dalla crisi e un futuro incerto; la garanzia sul consolidamento del debito agevolata da aiuti pubblici è oggi uno dei pochi strumenti che esiste e può fare qualcosa; i confidi sono il canale elettivo per distribuire garanzie agevolate (sebbene non l'unico);
- le garanzie agevolate non sono la cura della malattia, ma un prezioso supplemento di tempo in attesa della guarigione (portata dalla ripresa, da un'iniezione di capitale, da una ristrutturazione, ecc.); quindi va benissimo darle, ma un istante dopo bisogna prepararsi a quello che potrebbe succedere dopo sei mesi, uno o due anni; le aziende vanno seguite;
- i confidi sono il partner naturale, per le banche e gli enti pubblici, per questi interventi di sostegno; attenzione però, non basta passargli un pezzo del cerino acceso (o della candela); se si prendono rischi devono essere in grado di sopravviverci, a meno che si voglia farli sacrificare come gli studenti toscani a Curtatone e Montanara (che tristezza quell'episodio della prima guerra di indipendenza, una guerra persa, alla fine); se invece sono un conduit che gira rischi allo Stato e alle regioni, è probabile che facciano poco per prevenire e curare quei rischi (lo stesso dicasi delle banche che veicolano garanzie dirette), per cui alla fine anche questo modello non è sostenibile, finisce con i soldi pubblici e alla fine tutti a casa;
- il rischio di scivolare verso un modello di confidi - bad bank è reale; accettare questo rischio fa parte della mission dei confidi; però c'è modo e modo; ha senso portare i pesi delle difficoltà finanziarie delle aziende se le si affianca nel pezzo di strada che le porterà fuori dalle secche o che le accompagnerà alla cessazione dell'attività; per fare questo il confidi deve saper pianificare e consigliare rispetto a programmazione di tesoreria, ristrutturazione del debito (cura palliativa, ribadisco), ricapitalizzazione, riassetto, liquidazione volontaria, procedure concorsuali; deve imparare a fare queste cose, non da solo, ovviamente, con altri consulenti (però costoro, siano essi professionisti o strutture associative, non si mettano di traverso dicendo che spetta a loro, e non facendo nulla); le risorse vanno investite anche qui, ma una parte del costo la pagherebbero le aziende stesse, che in cambio accedono a risorse pubbliche e - soprattutto - non sono abbandonate al loro destino, e vi pare niente? E il confidi può trovare in queste linee di servizio quel flusso di ricavi stabile che paga strutture più qualificate e costose (vedi 107), e che rimarrebbe a crisi superata. I servizi di cui si parla (quelli del business office, se non si era capito) interessano anche alle imprese sane.
Chi ci sta?
Luca
10 commenti:
Professore complimenti per l'ottima analisi.
Mi è piaciuto soprattutto il passaggio del Confidi consulente d'impresa ed il fatto che però esso non possa, per ovvi motivi, assurgere a refugium peccatorum delle Banche partner.
La missione è ardua ma non impossibile.
caro Luca ho passato un anno nella Tridentina e come sai le sfide mi piacciono ...
Sante parole Professore.
La crisi ci ha masso tutti di fronte a scelte radicali; anche ai confidi e professionisti.
Il business office è un'idea geniale.
Grazie professore per il rilancio ordinato di temi fondamentali emersi qualche post fa. Da operatore del settore mi trova sostanzialmente d'accordo su tutto. Mi permetto di aggiungere alla sua puntuale analisi, come alle PMI, secondo me, sia necessaria una consulenza non solo finanziaria/amministrativa (confidi?), ma anche strategica e di marketing (business office?). Però le imprese non lo sanno e non riescono ad esprimere questo bisogno se non quando vanno in crisi. L'esigenza di consulenza è grande, la domanda no. Come rendere consapevoli le imprese di questo prima di arrivare alla crisi?
E, introducendo un tema collaterale, quanto questo modello di confidi consulente (quindi business oriented) potrebbe essere coerente con le associazioni di categoria, di cui i confidi sono emanazione, che hanno sostanzialmente finalità politico/rappresentative abbastanza lontane dalle reali esigenze delle aziende?
Così come i confidi, anche le associazioni, secondo me, per diversi motivi, sono troppe. Ha senso che dopo 20 anni dalla caduta del muro di Berlino ci siano Confartigianato e CNA, Confesercenti e Confcommercio, Coldiretti e Confagricoltura oltre ad altre diecimila sigle che offrono solo posti in consiglio di amministrazione ad aspiranti politici o ad imprenditori poco capaci che vengono messi lì (in mancanza di presidenze di club calcistici) per non fare danni in azienda?
Grazie.
ps
The answer, my friend, is blowin' in the wind,
The answer is blowin' in the wind.
Quando la consulenza tocca il business, o altre materie hard (ad esempio, le tecnologie produttive), occorre qualcuno che sa perché ha fatto: il miglior consulente è un ex dirigente, un imprenditore, un tecnico bravo. Il business office può ambire a fare il medico di famiglia ma limitatamente alle problematiche finanziarie. Coglie i problemi che hanno un sintomo economico-finanziario e una causa probabilmente strategica, organizzativa, commerciale, o che ne so. Magari può essere il tramite per trovare l'esperto giusto.
Quello che Gigi lamenta della associazioni lo potremmo dire di tante entità politiche, amministrative, della società civile che in sé hanno origini e missione degnissime. Come liberarsi dei soggetti che dicono e non fanno? Pensiamo a un ospedale, o (parlo del mio) dell'Università: si alzano le richieste in termini di cose che servono, che rispondono a delle esigenze della comunità di riferimento, degli utenti. Si verifica la soddisfazione di questi ultimi. Si mettono in concorrenza offerte diverse (smontando monopoli, mercati captive, privative e appannaggi vari). Si adottano catene di comando corte, per cui il capo ha la responsabilità diretta di quello che si deve realizzare, e vi si dedica in prima persona. E si lanciano i giovani, che in Italia stiamo maltrattando da vergognarci.
Sia chiaro, non auspico l'epurazione dei "panzoni" (mi si passi il termine), ma che si dimostri sul campo che è possibile fare meglio. Collaborando tra le tante persone di buona volontà che ci sono (i dialoghi su aleablog lo dimostrano).
Per citare ancora Bob Dylan: Forever young, è questo lo spirito che ci vuole.
Letto, approvato, sottoscritto. Un abbraccio!
Sottoscrivo anch'io, professore.
Sarà un caso che il miglior banchiere d'Italia sia stato, prima che un consulente, un bancario?
E che molti (non tutti, per fortuna) consulenti siano diventati scarsi manager?
E' vero, Gigi, il manager di cui parli ha fatto gavetta in banca prima di passare alla consulenza. Va riconosciuto alle società di consulenza, quelle toste, di essere più capaci di accumulare conoscenza, fare scuola, formare capacità di leadership. Su questo le banche hanno fatto dei passi indietro rispetto a quando ero giovane. Naturalmente, dipende dalla banca, ieri come oggi.
Perchè non pensare ad un nuovo equilibrio. Equilibrio dove, anziche' interrompere l'era della relazione con il direttore di banca, e crearne una tutta sintetica fatta di rating e griglie di affidabilità su scala internazionale, si possa insediare, anche attraverso il mercato e non solo con ulteriori interventi legislativi, un sistema facilitatore a due livelli:il primo aderente e peculiare al segmento retail per i 106 ed il secondo molto avanzato attraverso i 107 per il corporate. D'altronde tutto il sistema si sta' evolvendo e si contorce sul sistema delle soglie. Non possiamo nascondere il fatto che gia' qualche 107, appena nato, incute preoccupazione allo stesso sistema bancario ( al quale fa' molto comodo ). Preoccupazione giustificata dal riscontro di una debolezza ed etrema fragilità del coefficiente di solvibilità, in uno scenario di crisi economica molto pesante. Io intravedo nel medio periodo, anche per nuove ed imminenti decisioni politiche, lunga vita per i 106 riorganizzati e indipendenti dalle organizzazioni di categoria e poco mercato per i 107, strutture senza piu' l'anima che le ha generate costretti a nascere dalle stesse associazioni di categoria, in ragione di vertici sempre piu' "collusi" con il sistema bancario ( Presidente di associazione o addirittura di confidi e contemporaneamente componente nel cda della banca ).
Mariolino, quali sono le nuove ed imminenti decisioni politiche cui fai riferimento ?
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