Il Sole 24 ore segnala In Defense of Much, But Not All, Financial Innovation, un paper di Robert Litan, membro del think thank Brookings Institute. Litan ha inteso rispondere alla provocazione di Paul Volcker che delle innovazioni pare salvi soltanto il Bancomat. Nel saggio si classificano i nuovi servizi di pagamento, gestione del risparmio, credito, allocazione del rischio secondo tre profili: facilità di accesso, convenienza e contributo al PIL. Bocciati senz'appello i figli degeneri della bolla subprime, ovvero gli adjustable rate mortgages (quei mutui con le prime rate in offerta speciale), i CDO (contenitori di asset tossici) e le SIV (veicoli fuori bilancio per asset tossici). Bocciati gli hedge fund. Promossi (se usati bene) i derivati su crediti, che Wolfgang Münchau del Financial Times, vorrebbe invece l'utilizzo naked, cioè senza posizioni sottostanti da coprire, vedi articolo in italiano e in inglese).
Che dire? Sono analisi interessanti, anche se la materia è di una complessità mostruosa, e il punto non è dare un giudizio morale, quanto piuttosto una strategia di riassorbimento di squilibri reali (conti con l'estero e deficit pubblico) e finanziari (debito privato e pubblico e banche traballanti). Gli squilibri sono montati prima dello scoppio della crisi, e dopo sono cresciuti ancora. Le innovazioni perverse hanno aiutato prima a gonfiare la bolla, e dopo a speculare più facilmente sulla sua contrazione. Se vogliamo riportare l'ordine dobbiamo volerlo, il mercato da solo non è capace di autodisciplinarsi. Se però non si dà una prospettiva di rientro dagli squilibri sottostanti, come si fa a legare le mani ai mercati? Chi si compra o si tiene i titoli greci, o di altri paesi in osservazione, senza uno strumento di gestione del rischio? Chi colloca e intermedia le masse spaventose di titoli pubblici e privati che arrivano a scadenza e devono essere rifinanziati, per non parlare delle nuove emissioni nette? Il populismo può essere pericoloso quanto il mercatismo.
Luca
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