Il riassetto finanziario di un'impresa in difficoltà deve essere gestito ordinatamente, anche negli aspetti contabili. Giunge quindi opportuno il principio contabile dell'Organismo Italiano di Contabilità rivolto alle imprese "non IAS" in materia di Ristrutturazione del debito e informativa di bilancio (link alla news sul sito OIC). Del "principio" èdisponibile una bozza che rimmarrà in consultazione fino al 25 maggio 2010. Ne parla oggi anche il Sole 24 ore. Cito dalla lettera di presentazione:
Si sta assistendo, con crescente frequenza, a situazioni in cui le imprese non sono in grado di soddisfare i loro debiti, a causa di gravi e spesso perduranti difficoltà economiche e/o finanziarie. La ristrutturazione del debito sta diventando tema di grande interesse, laddove gli accordi tra debitore e creditore sono posti in essere, sia per risanare l’esposizione finanziaria del debitore, sia per soddisfare, a volte parzialmente, le ragioni del creditore.Ci siamo occupati tante volte di crisis management. E' un'ottima cosa che i nuovi istituti di gestione delle crisi (accordi di ristrutturazione dei debiti e piani di risanamento asseverati) oltre che i tradizionali (fallimenti e concordati preventivi) siano approfonditi in un ottica contabile oltre che giuridica. Quando si fanno i conti si è costretti a chiarire molte cose.
Nell’ambito delle norme del codice civile e dei principi contabili nazionali non è presente una specifica disciplina in tema di ristrutturazione del debito. La finalità del documento è di definire il trattamento contabile e l’informativa integrativa da fornire in merito agli effetti prodotti da un’operazione di ristrutturazione del debito nel bilancio dell’impresa debitrice. Esso è destinato alle società italiane che redigono i bilanci in base alle disposizioni del codice civile e ai principi contabili nazionali.
Il documento affronta una serie di questioni che si profilano particolarmente delicate rispetto alle quali si registrano prassi variegate. Gli aspetti maggiormente critici su cui l’OIC auspica di ricevere commenti sono i seguenti:
- la definizione di ristrutturazione del debito;
- la data della ristrutturazione;
- la possibilità di attualizzare il debito oggetto di ristrutturazione;
- la contabilizzazione del beneficio economico per il debitore;
- l’informativa integrativa richiesta.
Preciso che il principio riguarda il bilancio dell'impresa debitrice. Nel caso del creditore, se questo è una banca, si applicano i principi IAS; se è un'altra impresa, si può tener conto di questo nuovo standard, ma lo stesso non è vincolante.
Luca
3 commenti:
Come emerso da diversi studi, anche quelli ottimi di smefin, in materia, la definizione della crisi dell'impresa e' uno settori che più necessita di consulenza seria e qualificata. Mi permetto anche di evidenziare che proprio qui c'è un vulnus in primo luogo nelle banche: di preparazione, innanzi tutto (e' una materia ostica....) e, diciamo, un po' scomoda: e' più bello Intrattenersi con i clienti quando va tutto bene....
Immagino (ma empiricamente ne sono sicuro) che fuori dalle banche la situazione non sia migliore, anzi. Con tutto il rischio che il mercato sia gestito da soggetti non sempre trasparenti, che sfruttano le maglie grigie (grigissime) della giustizia civile italiana. Gli spazi per efficientare il settore sono enormi, come anche quelli per inventare soluzioni innovative, e penso anche per l'attività dei confidi. Solo che ora c'è altro a cui pensare (.... Coefficiente di solvibilità , vigilanza, e tanto altro). Ma se vogliamo pensare al bene delle imprese e della fiducia che regge il mercato dobbiamo pensare anche a questa fase con maggiore attenzione....
Confermo che il deficit di preparazione nelle banche c'è.
Manca inoltre qualsiasi spinta orientata a colmarlo.
E' uno dei molteplici effetti secondari della multibancarizzazione delle PMI italiane: nessuna delle banche con cui opera una PMI ha convenienza ad essere al prima ad evidenziare all'imprenditore lo stato di difficoltà. C'è sempre la banca di fianco, magari "entrante", che propone lusinghiere soluzioni di "credito ordinario".
In questo modo si alimenta ulteriormente la naturale tendenza dell'imprenditore ad ammettere ed affrontare i problemi finanziari con grave ritardo.
Si arriva quindi all'epilogo.
In un improvviso clima di emergenza e affanno - magari innescato da un assegno di 100 € o da uno sconfinamento in CR presso una banca IRB - tutti gli "amici" bancari scompaiono.
Scatta la ricerca dell'intervento salvifico, affidato all'ente pubblico o ad altra impresa che gode ancora dell'amicizia del sistema (magari finanziariamente disordinata anch'essa, ma "nel sentire comune" solida). Se l'imprenditore è realmente legato alla sua azienda e dispone di un buon patrimonio, il maxi-cerotto è dato dall'iniezione di equity (o, più di frequente, di garanzie) della famiglia, che nel medio termine finisce per peggiorare la situazione innescando anche conflitti a livello di governance.
Solo per le imprese di una certa dimensione, lo stato di crisi viene affrontato dal sistema bancario con un minimo di lucidità. Anche in questi casi la logica è sempre quella dell'intervento salvifico, ma affidato ad una banca d'affari dal nome blasonato, che sviluppa analisi e piani a costi sostenibili solo da business ad altissimo valore aggiunto. Negli altri casi, il coordinamento della banca d'affari si concretizza - attraverso diversi inglesismi - in una razionalizzazione del processo di dismissione degli asset.
Fortunatamente, in questo panorama desolante la crisi sta inducendo il sistema delle banche commerciali/ordinarie a qualche riflessione. Sono recentemente nate in seno ad Unicredit e ad altre banche unità specializzate (restructuring), con adeguate competenze finanziarie, legali e fiscali. Sono specificamente dedicate alle PMI.
Speriamo che sia il primo segno di un cambiamento contagioso.
Ettore: grazie per l'ottima analisi a 360'
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