Ho trovato un respiro non comune nell'articolo di Mario Deaglio, dal titolo coraggioso, uscito oggi sulla Stampa, di cui cito (invitando alla lettura dell'intero pezzo, segnalato da Sapio):
Il divario di opinioni tra Tremonti e Berlusconi va quindi interpretato, prima di tutto, come la variante italiana della confusione e della carenza mondiale delle idee su questo punto fondamentale [una linea comune nei rapporti tra mondo politico e finanza, essenziale per evitare il ripetersi di crisi distruttive]. Vi sono però particolarità italiane che richiederebbero maggiore coordinamento a livello di governo e anche un maggiore apporto dell’opposizione. Mentre infatti negli altri Paesi ricchi, con pochissime eccezioni, gli Stati hanno relativamente poco debito mentre le famiglie sono relativamente molto indebitate, in Italia succede il contrario: lo Stato italiano è tra i più indebitati (in rapporto al prodotto interno lordo), mentre le famiglie italiane hanno pochi debiti e consistenti saldi attivi e le imprese (le cui finanze spesso non sono ben separate da quelle delle famiglie dei piccoli imprenditori) sono relativamente poco capitalizzate.[...]Lo spunto è un dissidio (tra Berlusconi e Tremonti), ma la conclusione è che bisogna guardare al quadro complessivo, e farlo in profondità e in modo coordinato (e non partigiano).
Un’azione determinata del governo per mettere a posto la propria tesoreria e pagare con maggiore celerità i propri fornitori avrebbe probabilmente effetti più incisivi di un credito che, magari con un’interpretazione «buonista» dei «Tremonti bonds», venisse distribuito a pioggia; e gli imprenditori italiani, dal canto loro, dovrebbero tener presente che la creatività, l’energia e la freschezza innovativa che li caratterizza a livello mondiale devono accompagnarsi a un altro tratto tipico delle imprese in ogni parte del mondo, ossia l’accettazione di una buona dose di rischio finanziario, senza la quale è difficile, al giorno d'oggi, fare molta strada.
Luca
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