Il Financial Times pubblica oggi un articolo, Coding as a second language, in cui parla di Decode, un workshop per manager che vogliono tirar fuori il programmatore che è in loro.
L'iniziativa ha come target i dirigenti che, forti di MBA e business models, si sentono tagliati fuori dal cuore pulsante delle nuove imprese hi-tech che continuano a rivoluzionare il commercio, il lavoro d'ufficio, l'intrattenimento, il gioco, la telefonia, i servizi di pagamento. Queste imprese nascono da idee tecnologiche, tradotte alla velocità della luce in applicazioni, servizi, proposte commerciali. Conducono il gioco squadre cortissime di designer, programmatori e manager che sanno mettere le mani sul computer. Non basta saper comunicare, negoziare, guidare le persone, formulare ed eseguire piani: occorre saper aprire un editor di testo e scrivere linee di codice di programmazione per rendere dinamica una pagina web, estrarre dei dati da un sito, interagire con una piattaforma di commercio elettronico, e altro ancora. Non c'è tempo per immaginare e discutere, le idee che "spaccano" si pensano e si fanno, non c'è tempo per i preliminari.
Qualcosa del genere sta accadendo anche in Italia. Abbiamo tanti programmatori geniali, e nascono anche da noi imprese hi tech. Rimane un ritardo da colmare nella diffusione delle tecnologie (ADSL o reti di nuova generazione), ma soprattutto nella computer literacy dei livelli dirigenziali delle aziende e degli enti pubblici. A fronte di tanti progetti nuovi e promettenti (ma ancora nessun successo mondiale), c'è tanta informatica che si trascina stancamente su tecnologie e modelli vetusti. Fanalino di coda è, purtroppo, l'informatica contabile e gestionale, che stenta ad aprirsi alle piattaforme web: non è tutta colpa dei fornitori, il tributo pagato alla complessità normativa ha tagliato le gambe ai miglioramenti architetturali e funzionali. Basterebbe poco per aprire i servizi di internet banking, che sono migliorati molto, ma non consentono ancora di disporre con facilità dei propri dati bancari da altre applicazioni.
Nel mondo confidi, la gestione dell'informatica non è un fiore all'occhiello. Forse i committenti hanno delegato troppo ai fornitori. Spesso si sono fatti ordini, o installazioni, senza una cognizione precisa di quello che ci si metteva in casa. I fornitori presentano specifiche e offerte, però caveat emptor: se compro una roulotte per andare a Capo Nord mi assicuro che funzioni il riscaldamento, perché se me ne accorgo quando arrivo a Stoccolma è troppo tardi, e devo pagarmi l'albergo in aggiunta al leasing della roulotte uso frigidaire. Anche ai confidi serve un giusto livello di computer literacy.
Guai a ragionare soltanto in termini di soluzioni "chiavi in mano", si rischia di rimanere spndere un sacco di soldi per rimanere scoperti su funzioni vitali (controllo di gestione e dei rischi, ma non solo). Soprattutto non cresce la cultura aziendale. E la cultura dei confidi 107 è un unicum che può svilupparsi soltanto nei confidi, non è in vendita sugli scaffali del supermercato.
A quando un workshop decode per i direttori dei confidi?
3 commenti:
Dubito che l'iniziativa riuscirà ad insegnare un po' di informatica ai managers.
Spero solo che serva a far prendere coscienza della complessità dei problemi informatici, e quindi a rendere più rispettosi delle competenze altrui i managers.
Sarebbe già un passo avanti
Che dire.... hai centrato un tema fondamentale. I manager nostrani sono spesso completamente senza un minimo di competenze informatiche e l'efficienza dei processi passa quasi tutta di lì. Se non se rendono conto da soli forse andrebbero esodati dalla proprietà. Sempre che l'efficienza interessi ancora a qualcuno.
Nei confidi più' grandi e con obiettivi sfidanti i managers sono consapevoli dell'importanza dell'informatica, dunque applicano e richiedono prestazioni sempre maggiori ai propri collaboratori. Anche questo fa la differenza rispetto a realta' che dovrebbero rassegnarsi a chiudere o farsi acquisire.
Posta un commento