Il Board of Governors della Fed ha approvato ieri l'avvio di una consultazione sulla nuova disciplina del capitale regolamentare da applicarsi alle "banking organizations" degli Stati Uniti. Qui trovate il comunicato stampa e i documenti di consultazione. Lo stesso giorno la Fed ha approvato la final rule in materia di rischio di mercato (vedi comunicato).
Con questo secondo provvedimento sul trading book la Fed ha recepito negli USA le modifiche alle regole (note come Basilea 2.5) introdotte d'urgenza dopo la crisi dei subprime, integrate però con i principi del Dodd Frank Act. Tali principi sono intesi a innalzare una barriera attorno alle attività di trading rischiose (proprietarie e su credit, equity, commodity derivatives), per segregarle rispetto all'attività bancaria protetta dalla Fed e dall'assicurazione dei depositi.
Il Dodd Frank Act produce però un impatto molto più ampio sulle regole prudenziali laddove dispone la rottamazione dei rating di agenzia a fini di vigilanza, motivo per cui le regole USA sul rischio di mercato e le proposte sul quadro generale hanno rimosso i riferimenti al rating esterni dei testi di Basilea e li hanno sostituiti con criteri alternativi di stima del merito di credito, laddove questi esistono e sono più affidabili.
Questa innovazione riguarda tutti i portafogli regolamentari degli approcci standard. Per quanto riguarda il rischio sovrano, si propone la sostituzione dei rating di agenzia con la classificazione CRC (Country Risk Classification) dell'OCSE, applicata nel credito all'esportazione.
Per le banche, si applica un coefficiente del 20% alle banche USA, mentre per le banche straniere di paesi OCSE si ha una scaletta differenziata in base al CRC del paese di origine.
La stretta più severa riguarda le esposizioni corporate (categoria residuale che comprende principalmente quelle verso imprese): il documento di consultazione sull'approccio standard propone un coefficiente di rischio unico del 100%, non essendo disponibili standard alternativi ai rating di agenzia (che vengono anche qui abbandonati).
Negli approcci avanzati, rimangono validi i sistemi di internal rating e i modelli interni, seppur rafforzati in alcuni punti critici (PD dei prestiti retail soggetti a effetto seasoning, cioè aumento dei default negli anni successivi all'erogazione; rischio di controparte; rischi specifici o di strumenti iliquidi).
Per la securitization rimane valido soltanto il supervisory formula approach (SFA) di cui si consente anche una versione semplificata. La giubilazione del ratings based approach (RBA) in favore del solo SFA riguarda sia il trading book che il banking book (come si precisa nel documento di consultazione sugli approcci avanzati).
Sono soltanto degli esempi, però si nota un ritorno allo spirito di Basilea I nell'approccio standard, mentre negli approcci avanzati si conferma il principio per cui le grandi banche possono applicare sistemi e modelli interni, da loro stesse progettati e convalidati dalla Vigilanza.
Questo può significare due cose: che le grandi banche USA hanno vinto ancora una volta il confronto con le autorità, tenendosi le leve che consentono loro di regolare in una certa misura il metro del rischio applicato al loro interno; oppure che le stesse grandi banche saranno soggette ad una supervisione stringente e continuativa da parte degli ispettori di Vigilanza. O un mix delle due cose.
Sarò malizioso, ma penso che Moody's, S&P, Fitch siano state estromesse in maniera esemplare, come Demi Moore nelle scene finali del film Margin Call, dove, nel ruolo di risk manager della banca pseudo-Lehman, è licenziata per la débacle sui titoli subprime. Capri espiatori da dare in pasto alla pubblica opinione, per coprire coloro che i rischi li creano. Se la Fed riuscirà a far rottamare i rating esterni mantenendo i modelli interni, i risk manager faranno bene a dotarsi dei leggendari capi di biancheria intima in lega ferro-carbonio, visto che alla prossima crisi saranno loro gli unici accusabili.</fine della digressione maliziosa>
Per le banche minori (ad approccio standard) si torna a dare a soggetti pubblici o contigui ai governi (come l'OCSE) il controllo dei requisiti minimi, privando le agenzie di rating del potere di censura dei governi. Questo non cancella il rischio sovrano, là dove si è accumulato, ma spezza la catena di trasmissione meccanica degli squilibri finanziari in downgrading sovrani, gap di capitale rgolamentare e rischio di credit crunch.
Secondo un commento raccolto da Bloomberg, con questa azione gli USA alzano la posta nel confronto con l'Europa sull'attuazione di Basilea III.
Il nuovo quadro disegnato dalla Fed supera la frammentazione di cui si accusava la vigilanza made in USA, storicamente fatta di regole diverse applicate da agencies diverse a classi di intermediari diversi. Con la transizione in atto, si attua un disegno di unificazione del quadro normativo. Tutti saranno soggetti alle nuove regole di Basilea III sulla definizione, la composizione e i requisiti minimi di capitale. Riguardo ai criteri di calcolo delle esposizioni rischiose e ai requisiti organizzativi, si distinguerà: tra organizzazioni bancarie minori, destinatarie di approcci standardizzati, basati su coefficienti di rischio regolamentari, e banche maggiori, o con attività internazionale, che dovranno applicare gli approcci avanzati al posto di quelli standardizzati, e saranno soggette anche alle regole sul market risk.
Inoltre con questa mossa la Fed, previene le accuse di applicazione tardiva e parziale di Basilea III (l'Europa l'ha accusata di questo rispetto al recepimento di Basilea II, e alla sostanziale esenzione riservata alla investment bank prima della crisi).
E ora come reagirà Bruxelles alla giocata di Ben Bernanke & co? Il quadro di Basilea II è stato puntualmente recepito ed è in fase avanzata di attuazione. Le direttive sul capitale mantengono qualche clausola di esclusione delle regole standard basate sui rating di agenzia (vedi trattamento del debito sovrano dei paesi UE allo 0%, a prescindere dal rating), ma non hanno tagliato i ponti in maniera decisa con i rating esterni, che ancora pesano nel caso delle esposizioni verso banche (che tocca anche la ponderazione delle garanzie confidi 107).
L'attuazione di Basilea III però non è completata, e ci sono ancora forti divergenze tra paesi in materia di approcci avanzati e rischio di mercato: le banche francesi (e olandesi, e tedesche) non sono molto contente all'idea di stringere le viti dei modelli interni che hanno consentito finora di sottostimare il rischio sedicente basso di sedicenti posizioni liquide di trading o di credito (strutturato e non).
Non parliamo poi del rischio sovrano. E' un abisso rispetto agli USA. L'UE, o l'Eurozona, hanno nell'aggregato valori di finanza pubblica e conti con l'estero molto più belli degli USA, ma sono la media di Trilussa di situazioni nazionali euroforti ed eurodeboli (che rischiano il break-up). Abbiamo una marea di cose su cui metterci d'accordo. E ci sono tante emergenze da sanare prima di rimettere mano ad un'eventuale revisione delle CRD: è in discussione la moneta unica, la Grecia fuori dall'euro, una crisi bancaria in Spagna, figuriamoci se c'è tempo di pensare al dilemma RBA versus SFA nelle cartolarizzazioni. Ma in Europa siamo capaci di tutto, anche di mandare un ispettore a controllare gli estintori quando divampa un incendio.
Gli USA sono stati molto decisi nel coprire le loro debolezze e riorganizzarsi in maniera coesa. L'Europa è invece un teatro di fragilità esposte al pubblico ludibrio, con interventi che (a parte quelli di Mario Draghi da Francoforte) partono complicati, proseguono indecisi e non arrivano a destinazione.
La paura del precipizio forse ci sveglierà. Come e quando ci sveglieremo non si sa, per il momento.
Con questo secondo provvedimento sul trading book la Fed ha recepito negli USA le modifiche alle regole (note come Basilea 2.5) introdotte d'urgenza dopo la crisi dei subprime, integrate però con i principi del Dodd Frank Act. Tali principi sono intesi a innalzare una barriera attorno alle attività di trading rischiose (proprietarie e su credit, equity, commodity derivatives), per segregarle rispetto all'attività bancaria protetta dalla Fed e dall'assicurazione dei depositi.
Il Dodd Frank Act produce però un impatto molto più ampio sulle regole prudenziali laddove dispone la rottamazione dei rating di agenzia a fini di vigilanza, motivo per cui le regole USA sul rischio di mercato e le proposte sul quadro generale hanno rimosso i riferimenti al rating esterni dei testi di Basilea e li hanno sostituiti con criteri alternativi di stima del merito di credito, laddove questi esistono e sono più affidabili.
Questa innovazione riguarda tutti i portafogli regolamentari degli approcci standard. Per quanto riguarda il rischio sovrano, si propone la sostituzione dei rating di agenzia con la classificazione CRC (Country Risk Classification) dell'OCSE, applicata nel credito all'esportazione.
Per le banche, si applica un coefficiente del 20% alle banche USA, mentre per le banche straniere di paesi OCSE si ha una scaletta differenziata in base al CRC del paese di origine.
La stretta più severa riguarda le esposizioni corporate (categoria residuale che comprende principalmente quelle verso imprese): il documento di consultazione sull'approccio standard propone un coefficiente di rischio unico del 100%, non essendo disponibili standard alternativi ai rating di agenzia (che vengono anche qui abbandonati).
Negli approcci avanzati, rimangono validi i sistemi di internal rating e i modelli interni, seppur rafforzati in alcuni punti critici (PD dei prestiti retail soggetti a effetto seasoning, cioè aumento dei default negli anni successivi all'erogazione; rischio di controparte; rischi specifici o di strumenti iliquidi).
Per la securitization rimane valido soltanto il supervisory formula approach (SFA) di cui si consente anche una versione semplificata. La giubilazione del ratings based approach (RBA) in favore del solo SFA riguarda sia il trading book che il banking book (come si precisa nel documento di consultazione sugli approcci avanzati).
Sono soltanto degli esempi, però si nota un ritorno allo spirito di Basilea I nell'approccio standard, mentre negli approcci avanzati si conferma il principio per cui le grandi banche possono applicare sistemi e modelli interni, da loro stesse progettati e convalidati dalla Vigilanza.
Questo può significare due cose: che le grandi banche USA hanno vinto ancora una volta il confronto con le autorità, tenendosi le leve che consentono loro di regolare in una certa misura il metro del rischio applicato al loro interno; oppure che le stesse grandi banche saranno soggette ad una supervisione stringente e continuativa da parte degli ispettori di Vigilanza. O un mix delle due cose.
Sarò malizioso, ma penso che Moody's, S&P, Fitch siano state estromesse in maniera esemplare, come Demi Moore nelle scene finali del film Margin Call, dove, nel ruolo di risk manager della banca pseudo-Lehman, è licenziata per la débacle sui titoli subprime. Capri espiatori da dare in pasto alla pubblica opinione, per coprire coloro che i rischi li creano. Se la Fed riuscirà a far rottamare i rating esterni mantenendo i modelli interni, i risk manager faranno bene a dotarsi dei leggendari capi di biancheria intima in lega ferro-carbonio, visto che alla prossima crisi saranno loro gli unici accusabili.</fine della digressione maliziosa>
Per le banche minori (ad approccio standard) si torna a dare a soggetti pubblici o contigui ai governi (come l'OCSE) il controllo dei requisiti minimi, privando le agenzie di rating del potere di censura dei governi. Questo non cancella il rischio sovrano, là dove si è accumulato, ma spezza la catena di trasmissione meccanica degli squilibri finanziari in downgrading sovrani, gap di capitale rgolamentare e rischio di credit crunch.
Secondo un commento raccolto da Bloomberg, con questa azione gli USA alzano la posta nel confronto con l'Europa sull'attuazione di Basilea III.
Il nuovo quadro disegnato dalla Fed supera la frammentazione di cui si accusava la vigilanza made in USA, storicamente fatta di regole diverse applicate da agencies diverse a classi di intermediari diversi. Con la transizione in atto, si attua un disegno di unificazione del quadro normativo. Tutti saranno soggetti alle nuove regole di Basilea III sulla definizione, la composizione e i requisiti minimi di capitale. Riguardo ai criteri di calcolo delle esposizioni rischiose e ai requisiti organizzativi, si distinguerà: tra organizzazioni bancarie minori, destinatarie di approcci standardizzati, basati su coefficienti di rischio regolamentari, e banche maggiori, o con attività internazionale, che dovranno applicare gli approcci avanzati al posto di quelli standardizzati, e saranno soggette anche alle regole sul market risk.
Inoltre con questa mossa la Fed, previene le accuse di applicazione tardiva e parziale di Basilea III (l'Europa l'ha accusata di questo rispetto al recepimento di Basilea II, e alla sostanziale esenzione riservata alla investment bank prima della crisi).
E ora come reagirà Bruxelles alla giocata di Ben Bernanke & co? Il quadro di Basilea II è stato puntualmente recepito ed è in fase avanzata di attuazione. Le direttive sul capitale mantengono qualche clausola di esclusione delle regole standard basate sui rating di agenzia (vedi trattamento del debito sovrano dei paesi UE allo 0%, a prescindere dal rating), ma non hanno tagliato i ponti in maniera decisa con i rating esterni, che ancora pesano nel caso delle esposizioni verso banche (che tocca anche la ponderazione delle garanzie confidi 107).
L'attuazione di Basilea III però non è completata, e ci sono ancora forti divergenze tra paesi in materia di approcci avanzati e rischio di mercato: le banche francesi (e olandesi, e tedesche) non sono molto contente all'idea di stringere le viti dei modelli interni che hanno consentito finora di sottostimare il rischio sedicente basso di sedicenti posizioni liquide di trading o di credito (strutturato e non).
Non parliamo poi del rischio sovrano. E' un abisso rispetto agli USA. L'UE, o l'Eurozona, hanno nell'aggregato valori di finanza pubblica e conti con l'estero molto più belli degli USA, ma sono la media di Trilussa di situazioni nazionali euroforti ed eurodeboli (che rischiano il break-up). Abbiamo una marea di cose su cui metterci d'accordo. E ci sono tante emergenze da sanare prima di rimettere mano ad un'eventuale revisione delle CRD: è in discussione la moneta unica, la Grecia fuori dall'euro, una crisi bancaria in Spagna, figuriamoci se c'è tempo di pensare al dilemma RBA versus SFA nelle cartolarizzazioni. Ma in Europa siamo capaci di tutto, anche di mandare un ispettore a controllare gli estintori quando divampa un incendio.
Gli USA sono stati molto decisi nel coprire le loro debolezze e riorganizzarsi in maniera coesa. L'Europa è invece un teatro di fragilità esposte al pubblico ludibrio, con interventi che (a parte quelli di Mario Draghi da Francoforte) partono complicati, proseguono indecisi e non arrivano a destinazione.
La paura del precipizio forse ci sveglierà. Come e quando ci sveglieremo non si sa, per il momento.
3 commenti:
Bellissimo post. Complimenti.
Ho riletto. Di nuovo complimenti perché in assenza del tuo post ci avrei messo un milione di anni a capire il senso del movimento in atto. Grazie.
Grazie, Sapio. Devo leggere molte altre cose per confermare le mie ipotesi. In particolare sulla piega che prenderà la regolamentazione in Europa.
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