Carmine Fotina sul Sole 24 ore riprende il comunicato diffuso ieri dal Comitato di gestione del Fondo centrale di garanzia per le Pmi. Si evidenzia il calo dei volumi e l'aumento delle pratiche rispetto al 2011, segno di una "carica dei piccoli", cioè dell'aumento delle richieste dallo small business (in particolare dalle imprese artigiane).
Per la precisione, nel 2011 le operazioni accolte sono aumentate del 10,3% (a quota 55.209), per un volume di finanziamenti concessi pari a 8,4 miliardi, in calo del 7,7% rispetto al 2010. L'importo garantito è stato di 4,4 miliardi (con una quota media di copertura del 52,4%). Il finanziamento medio mensile accolto è sceso da circa 175mila a 152mila euro. Resta il primato della controgaranzia sulle operazioni dei Confidi (68% del totale) ma sono in crescita le operazioni di garanzia diretta (32 per cento) che coinvolgono soltanto le banche. E' calata l'incidenza degli interventi su progetti di investimento: dopo aver raggiunto l'apice nel 2007, con il 33% del totale, nel 2008 è iniziato il calo, fino al 19,1% toccato lo scorso anno.
Il ministro dello Sviluppo Corrado Passera ha ribadito la centralità del Fondo nella strategia di sostegno all'economia reale. Ha ricordato le misure introdotte con decreto salva-Italia (in attuazione con un DM che stiamo discutendo qui).
L'articolo commenta positivamente gli sforzi intrapresi per mobilitare maggiori volumi. Il primo intervento dovrebbe consistere nella riduzione delle percentuali di accantonamento per accrescere il moltiplicatore sull'importo finanziato.
Il secondo intervento è collegato al cosiddetto "fund raising", ovvero il cofinanziamento degli interventi con altri Enti (era previsto nel Dl anticrisi del dicembre 2008, art. 11 comma 5). In pratica, attraverso la stipula di convenzioni il Fondo potrà essere finanziato anche da soggetti diversi dalle amministrazioni centrali quali Regioni, Sace, Simest, camere di commercio, banche, Confidi. E tra i primi effetti dovrebbe esserci la creazione di una sezione speciale del Fondo per l'internazionalizzazione delle imprese (possibile anche una sezione per le imprese femminili). Raccomando cautela nell'aprire sezioni speciali: ogni sezione del fondo beneficia (presumo) della garanzia di ultima istanza dello Stato, se la sezione alimenta un pool di esposizioni piccolo e/o di bassa qualità, la dispersione delle perdite aumenta, e cresce la probabilità che le perdite effettive superino gli accantonamenti fatti dal Fondo e dal partner (Regione, CCIAA, altri). A questo punto, dovrebbe intervenire lo Stato per la parte scoperta, e salterebbe la ripartizione del rischio. In concreto, supponiamo che la Regione Epsilon intervenga per innalzare la percentuale garantita dal 50% all'80%. Su 100 di erogato, si garantisce in tutto 80. Se il coefficiente di accantonamento è il 10% (valore indicativo), si deve accantonare 8, e di questi 5 li mette il Fondo, e 3 la Regione. Però se le perdite superano il 10% del garantito, che cosa succede? La regione si impegna a coprire la sua parte di scoperto? O paga Pantalone? La proliferazione di sezioni speciali rischia poi di ingolfare le procedure di istruttoria, con una moltiplicazioni di casistiche e requisiti. Ovviamente si complicano anche la governance e i processi deliberativi del Fondo, visto che i co-finanziatori vorranno dire la loro. L'intenzione è buona. Tutto si può fare, ma con giudizio.
Con i fondi di garanzia è facile pasticciare se si mette al primo posto l'incremento dei volumi senza tener conto della distribuzione del rischio aggregato di portafoglio (rimando al paper di Honohan che lo spiega bene).
Tra i piani del comitato rientra poi un pacchetto di misure integrate con Cassa depositi e prestiti, Abi, Sace per mettere in sinergia strumenti diversi e con Banca d'Italia e la stessa Abi per la creazione di un osservatorio sul credito.
Ultima osservazione: l'articolo evidenzia la difficoltà di molte imprese nell'accedere a finanziamenti nell'entità richiesta nonostante avessero ottenuto la garanzia statale. Aumentare i volumi garantibili dal Fondo, quindi, non è una medicina buona per tutti. Dobbiamo pensare anche ai casi in cui non basta. Forse si tratta di imprese non più "bancabili", o forse occorre intervenire su altre strettoie del rapporto banca-impresa.
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