Il Comitato di Basilea per la Vigilanza bancaria ha avviato una consultazione sul nuovo framework dei requisiti patrimoniali sul rischio di mercato, applicati alle esposizioni classificate nel trading book. Qui trovate il comunicato stampa, e qui il documento di consultazione.
Le regole sul trading book di Basilea II (in particolare quelle applicate alle banche autorizzate all'uso dei modelli interni per il rischio di mercato) sono piuttosto fallaci, nel senso che hanno molte falle sfruttabili dalle banche.
Il problema di fondo è quello dei confini tra banking book e trading book: molti prodotti unici, ad hoc, privi di un mercato secondario e complicatissimi da valutare non sono strumenti di trading, nel senso che non possono essere smontati o chiusi in tempi veloci su un mercato liquido dove operano numerose controparti libere e consapevoli.
C'è poi il limite dei modelli VaR (nel senso di Value-at-risk) che formano l'ossatura dei modelli interni autorizzabili, ma che sono per natura inadatti a riconoscere (non dico a misurare) i rischi nelle code delle distribuzioni. I modelli VaR (pensiamo alla versione resa popolare da RiskMetrics) trattano i macro-fattori di rischio generali, collegati all'andamento dei mercati di borsa, della struttura dei tassi, dei cambi. Per farci entrare fattori di rischio più specifici, e soprattuto per fargli tenere conto del rischio di liquidità (nel senso di tempi e costi di cessione sul mercato secondario).
Dopo aver tappato le falle più vistose con i correttivi applicati nel 2009 al trattamento delle cartolarizzazioni e dei veicoli fuori bilancio, noti come Basilea 2.5, la proposta messa in consultazione intende apportare una revisione profonda dei principi di misurazione del rischio di mercato. Dubito fortemente che si riuscirà a farcela con un cambiamento (e una complicazione ulteriore dei modelli).
Ad esempio il documento in questione propone di sostituire al VaR (che è una misura puntuale di perdita per dato grado di confidenza) con l'Expected shortfall (che è la media condizionata dei valori di perdita superiori al VaR). Se però il rischio non è modellabile con una distribuzione di probabilità, considerare un punto della coda (come fa il VaR) piuttosto che la coda intera (come fa l'expected shortfall) non sana i limiti dell'approccio alle misure di rischio. E se i modelli si complicano, i regolatori si rimettono a rincorrere banche più astute e informate di loro. Forse per limitare l'appetito per il rischio i supervisori faranno meglio ad usare strumenti di più antica tradizione: non il sismografo, ma la camicia di forza, o il randello.
Le banche maggiori (anche quelle francesi e tedesche, che dei modelli interni per il rischio di mercato, nonché di credito, hanno fatto largo uso per risparmiare patrimonio) cominceranno a stracciarsi le vesti per la possibile richiesta di maggiore patrimonio per l'attività di trading. Sarà l'occasione per andare a fondo del problema: questa attività di trading di cui i grandi player sembrano andare fieri, anche per l'apporto che dà ai loro margini di intermediazione, crea davvero valore per le banche stesse, e per il sistema economico? Non è soltanto un gioco complicato con una posta troppo alta, messa lì da scommettitori che non se lo possono permettere?
Le banche italiane non saranno granché toccate dal possibile inasprimento dei requisiti per il trading book
Le regole sul trading book di Basilea II (in particolare quelle applicate alle banche autorizzate all'uso dei modelli interni per il rischio di mercato) sono piuttosto fallaci, nel senso che hanno molte falle sfruttabili dalle banche.
Il problema di fondo è quello dei confini tra banking book e trading book: molti prodotti unici, ad hoc, privi di un mercato secondario e complicatissimi da valutare non sono strumenti di trading, nel senso che non possono essere smontati o chiusi in tempi veloci su un mercato liquido dove operano numerose controparti libere e consapevoli.
C'è poi il limite dei modelli VaR (nel senso di Value-at-risk) che formano l'ossatura dei modelli interni autorizzabili, ma che sono per natura inadatti a riconoscere (non dico a misurare) i rischi nelle code delle distribuzioni. I modelli VaR (pensiamo alla versione resa popolare da RiskMetrics) trattano i macro-fattori di rischio generali, collegati all'andamento dei mercati di borsa, della struttura dei tassi, dei cambi. Per farci entrare fattori di rischio più specifici, e soprattuto per fargli tenere conto del rischio di liquidità (nel senso di tempi e costi di cessione sul mercato secondario).
Dopo aver tappato le falle più vistose con i correttivi applicati nel 2009 al trattamento delle cartolarizzazioni e dei veicoli fuori bilancio, noti come Basilea 2.5, la proposta messa in consultazione intende apportare una revisione profonda dei principi di misurazione del rischio di mercato. Dubito fortemente che si riuscirà a farcela con un cambiamento (e una complicazione ulteriore dei modelli).
Ad esempio il documento in questione propone di sostituire al VaR (che è una misura puntuale di perdita per dato grado di confidenza) con l'Expected shortfall (che è la media condizionata dei valori di perdita superiori al VaR). Se però il rischio non è modellabile con una distribuzione di probabilità, considerare un punto della coda (come fa il VaR) piuttosto che la coda intera (come fa l'expected shortfall) non sana i limiti dell'approccio alle misure di rischio. E se i modelli si complicano, i regolatori si rimettono a rincorrere banche più astute e informate di loro. Forse per limitare l'appetito per il rischio i supervisori faranno meglio ad usare strumenti di più antica tradizione: non il sismografo, ma la camicia di forza, o il randello.
Le banche maggiori (anche quelle francesi e tedesche, che dei modelli interni per il rischio di mercato, nonché di credito, hanno fatto largo uso per risparmiare patrimonio) cominceranno a stracciarsi le vesti per la possibile richiesta di maggiore patrimonio per l'attività di trading. Sarà l'occasione per andare a fondo del problema: questa attività di trading di cui i grandi player sembrano andare fieri, anche per l'apporto che dà ai loro margini di intermediazione, crea davvero valore per le banche stesse, e per il sistema economico? Non è soltanto un gioco complicato con una posta troppo alta, messa lì da scommettitori che non se lo possono permettere?
Le banche italiane non saranno granché toccate dal possibile inasprimento dei requisiti per il trading book
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