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venerdì 25 febbraio 2011

Marcegaglia: riforma fiscale necessaria per ripartire - Il Sole 24 ORE

A Chieti la presidente di Confindustria ha anche illustrato un pacchetto fiscale: «Aumentare la tassazione sulle cose, sull'Iva di qualche punto. Aumentare la tassazione sulle rendite finanziarie e abbassare la tassazione sulle imprese di qualche punto e togliere la componente del costo del lavoro sull'Irap. Vogliamo - ha concluso - vedere l'abbassamento della tassazione su chi tiene in piedi questo paese, ossia imprese e lavoratori».
Posso dire la mia? Sono l'ultimo arrivato nel dibattito sulla riforma fiscale. Non porto una competenza dottrinale o professionale, ma soltanto le impressioni raccolte con gli studenti del mio Laboratorio di pianificazione finanziaria. Posso concordare sulla tassazione più elevata delle rendite finanziarie, che peraltro avrebbe effetti non trascurabili sul costo del debito pubblico e della raccolta obbligazionaria delle banche. Sull'IVA, non so che dire, l'IVA è un tremendo guazzabuglio, teatro di frodi ed elusioni di ogni specie, con una normativa che per fronteggiarle si è balcanizzata.
Modellare la fiscalità di una micro-impresa italiana è un'impresa mastodontica. IVA, IRAP, IRES (quando c'è), IRPEF sui proprietari, ogni tributo ha le sue voluminose istruzioni per l'uso: imponibile dichiarato o presunto; infrazioni, accertamenti, sanzioni e condoni; versamenti, rateizzazioni, compensazioni e incasso di crediti. Se poi aggiungiamo i contributi previdenziali il quadro è ancor più complicato. Aggiungiamo la fiscalità accessoria data dal costo degli adempimenti (sistemi informativi e consulenza) e del contenzioso. C'è poi la fiscalità indiretta e occulta, come quella che grava sul costo dell'energia (che finanzia le accise e gli aiuti alle energie pulite) o le diseconomie per infrastrutture che non ci sono o sono obsolete.
Se mai un gruppo di persone illluminate e molto competenti decidesse di mettere mano alla riforma fiscale, dovrà secondo me darsi tre imperativi: (1) fare un patto con "chi tiene in piedi questo paese" per abbassare molto le aliquote fiscali nominali senza che scenda il prelievo effettivo; (2) semplificare il sistema complessivo, sfrondando gli adempimenti, togliendo gli orpelli delle micro-agevolazioni e la stratificazione geologica delle regole anti-elusive; (3) evidenziare e gestire con assoluta trasparenza l'effetto redistributivo della riforma, ponendo e rispettando regole di equità. Ci vuole un big bang, gli interventi graduali complicherebbero ulteriormente il sistema, che ha sviluppato anticorpi aggressivi per adattarsi alle novità dal lato del contribuente, e per reagire agli adattamenti dal lato dell'Amministrazione finanziaria.
Fare questo resistendo alle logiche di scambio della politica, alla concorrenza delle economie emergenti (e criminali) vicine e lontane, alla spossatezza della classe dirigente è un'impresa da santi, miracolosa. Se non lo facciamo, però andiamo a pezzi, e non dispero che si formi una maggioranza anche politica di persone che non ci stanno e scendono in piazza per cambiare. A cominciare dalle imprese che tengono in piedi questo paese, le quali semplicemente non possono sopravvivere in questo stato di cose.
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2 commenti:

Emanuela ha detto...

Qualcun altro direbbe: “Ci vuole un Bunga Bunga”!!
Tornando seri, credo che Marcegaglia di spunti di riflessioni e scossoni al governo ne abbia già dati abbastanza, senza avere una risposta e alcun segno tangibile. il problema in questo Paese è che siamo troppo attenti a distogliere l’attenzione per dirottarla su argomenti che di fatto non aiutano a risollevare l’economia italiana dal burrone in cui sta sempre più velocemente precipitando, anzi semmai, non fanno altro che peggiorarla. Sono pienamente d’accordo con Luca, anche se ho un paio di dubbi: il primo sulla veridicità (quelle poche che ogni tanto vengono pubblicizzate) delle azioni del governo per risanare e restituire slancio alle imprese, soprattutto alle PMI che sono la linfa vitale del nostro tessuto economico;
esempio: http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/02/24/termini-imerese-il-piano-di-salvataggio-del-governo-e-uno-spot/93843/

il secondo dubbio è sulla fattibilità della formazione di “una maggioranza anche politica di persone che non ci stanno e scendono in piazza per cambiare”. Personalmente sarei disposta anche in questo momento, ma vedo e sento intorno a me un certa resistenza al cambiamento. La mia speranza è che la mia sensazione sia sbagliata …

Anonimo ha detto...

@Emanuela, vado subito ai tuoi dubbi sulla fattibilità di un azione di cambiamento. Qui c'è da capire se ci sono degli schieramenti, riformisti contro conservatori, laboriosi contro parassiti, aut similia. In questo caso basterebbe capire chi rappresenta i progressisti laboriosi e schierarsi con lui. Purtroppo, in tutti i soggetti importanti (grandi partiti al governo o all'opposizione, amministrazioni locali, associazioni datoriali dei grandi e dei piccoli, sigle sindacali, ordini professionali) prevale l'impulso a trincerarsi a difesa dell'esistente, e se ci si mobilita lo si fa per guadagnare qualche palmo di terreno e qualche razione di generi di conforto per la truppa. Le forze di cambiamento sono soffocate sotto strati di negligenza, sfiducia e soprattutto interessi costituiti, e in un quadro che impone a tutti di tagliare spese o andare a caccia di soldi. Ad esempio, sull'ipercomplicazione legislativa e amministrativa ci campa un esercito sterminato di persone, in tutti gli organismi sopra elencati.
Ci vuole un ingenuo che dica: "Che spreco, vergognatevi tutti! Facciamo le cose che servono veramente!", ma deve fare la sua battaglia dall'interno degli organismi che sprecano, trascinandoli a cambiare. La resistenza al cambiamento si vince cambiando il cuore delle persone, una ad una, mostrando un modo più umano di rispondere ai bisogni delle persone, e di cambiare la realtà. E' in fondo una catena di responsabilità personale.
Io sto cercando di fare questo lavoro in università e, come oriundo, nel mondo associativo. Forse qualcuno verrà dietro. Ovviamente io non sono nessuno e non mi aspetto nulla. Ma non mi dispiace andare in giro a proporre una sana alternativa all'indignazione collettiva dalle gambe corte, o al Bunga-Bunga della porta accanto.